giovedì 27 settembre 2012

Quando la soluzione ingigantisce il problema invece di risolverlo

Che cosa succede quando anziché affrontare un problema si adotta una soluzione che ne avvalla le conseguenze? Che cosa succede quando la soluzione adottata finisce con il mantenere in vita il problema e ingigantirlo? 

Ce lo racconta il film Il giorno prima in cui per affrontare l'eventualità dello scoppio di ordigni nucleari si costruiscono dei rifugi antiatomici. Un gruppo di quindici persone è selezionato da una fondazione per fare un test sul comportamento degli esseri umani in una simile convivenza. Durante quest'ultima si accende il dibattito circa l'opportunità di costruire dei rifugi. Emerge la follia della costruzione dei rifugi che non fanno altro che avvallare il problema. Lo stesso esito dell'esperimento finisce con il confermare che la soluzione non può passare da qualcosa che non affronta il problema. Oltretutto questo sta altrove: nello stesso comportamento umano. Di fronte, infatti, ad una simulazione di attacco nucleare, all'insaputa dei quindici, questi finiscono con l'impugnare le armi per evitare che la folla di persone che bussa all'esterno del rifugio entri, anche se in realtà si tratta di attori ingaggiati per la simulazione. Perciò in piccolo le armi ritornano ancora: ciò che si voleva evitare si ripresenta.

E' ciò che accade quando un problema anziché definirlo si corre subito alla sua soluzione. Ciò che non affrontiamo all'inizio rischiamo di portarcelo sempre dietro. Occorre andare laddove il problema si presenta. Nel film il problema non è l'eventualità o meno che degli ordigni nucleari siano sganciati. Il problema è il ricorso alle armi  per dirimere le controversie. In modo significativo le persone dell'esperimento si dividono n due gruppi: uno favorevole all'ingresso degli estranei e l'altro contrario. Sempre diviso in due è stato il mondo durante gli anni della guerra fredda. La strategia della deterrenza, altrimenti nota come la teoria della distruzione mutua assicurata, in quei decenni si basava sulla paura che uno dei due contendenti sganciasse bombe nucleari sull'altro.

L'interrogativo in quegli anni era: come dirimere le questioni geopolitiche tra le due superpotenze? La soluzione adottata fu la minaccia delle armi nucleari. Il mondo fu preda di una cattiva soluzione ad un problema mal definito. Se definiamo problema lo scostamento tra un dato reale e lo standard ci accorgiamo in realtà di almeno due aspetti:

  1. le due superpotenze non erano minacciose e potenti come ci dimostra l'involuzione dell'U.R.S.S. dopo la caduta del muro di Berlino;
  2. c'era una terza forza in campo non trascurabile come quella dei paesi non allineati.
Con il venir meno dell'Unione Sovietica e con la crescita di altre potenze come Cina e India il quadro geopolitico è cambiato. Non è però cambiata la soluzione per affrontare le controversie: il ricorrente ricorso ad armi e guerre. Nonostante tanto pacifismo. 

La bomba atomica è una realtà si afferma ad un certo punto nel film. Quindi apparirebbe logico pensare a come salvare più persone dal suo scellerato ed eventuale uso. In questo modo si finisce con l'accettarla: è come accettare un problema e lasciarlo proliferare. Pensiamo se questo atteggiamento lo avessimo di fronte ai tumori che cosa succederebbe. E' un po' quello che si è fatto con le comunità di recupero dei tossicodipendenti. Anziché lavorare sulla prevenzione si lavora sulla cura dalle dipendenze. Questo in una certa misura è necessario una volta che il problema si manifesta e coinvolge tante persone. Ma non è sufficiente. Da solo rischia addirittura di alimentare il problema. La filosofia della cura ha spesso questo limite. Tutte le volte che non modifichiamo il nostro stile di vita e ci limitiamo a prendere qualche compressa, ad esempio, stiamo alimentando il problema anziché risolverlo.

Di fronte alle soluzioni ideate per un problema vale allora la pena farsi qualche domanda come queste:

  • le soluzioni proposte affrontano il problema o lo ingrandiscono?
  • Prima ancora di pensare alle soluzioni è stato realizzato il setting del problema?
  • Se il problema è insormontabile o non c'è nulla più da fare, non siamo di fronte ad un problema ma davanti ad una condizione. In questo caso: si sono analizzati i problemi che una condizione crea?
  • La ricerca del problema è stata eseguita dove davvero esso si manifesta o piuttosto è stato cercato solo dove è più comodo e facile cercarlo?
Nella vostra esperienza vi è mai capitato di far diventare un problema più grande con le soluzioni adottate invece di risolverlo? Raccontate la vostra storia nei commenti.


martedì 29 novembre 2011

Come avere successo con le proprie passioni

SUCCESS @ 6PAR4 LAVAL.
Quante volte ci capita di avere delle passioni però di non riuscire a cavarci niente. Quante volte ci capita di abbandonarle proprio. Oppure di avere delle idee creative che però ci appaiono subito come fallimentari e finiamo con il gettarle via? Spesso capita che ci sentiamo addirittura privi di immaginazione, di fantasia. Ci sentiamo buoni a fare solo lavori seriali, di ripetizione perché in quelle occasioni in cui abbiamo provato a cambiare lavoro con un'idea nuova ed originale questa non si è rivelata buona e quindi inaffidabile per costruirci una carriera su. Anche a me è successo in più di un'occasione e il mio lavoro di attore e di formatore è spesso costellata da questa dinamica sempre in bilico tra successi (inferiori a quelli che vorrei) e disperazioni (che ogni tanto si presentano). Perché accade questo? Spesso, infatti, non riusciamo a risolvere questo o quel problema perché le idee che ci vengono, per quanto brillanti ci sembrano inefficaci. Il non riuscire ad affrontare i problemi può essere un problema in effetti. Fermo restando che prima di tutto un problema va ben definito con l'aiuto del problem setting oggi voglio parlarvi di tre passi che possiamo fare per fare delle nostre passioni un successo. Una nostra passione è foriera di obiettivi  ma anche di problemi.Gli obiettivi sono però distinti dai problemi perché sono delle mete mentre i problemi sono gli ostacoli da superare per raggiungerle. Ecco tre grandi suggerimenti, con alcune mie considerazioni, che sintetizzo da un bel post, in inglese, di Scott Dinsmore.


  1. Separa la fase creativa da quella critica. Nella fase iniziale di un'idea basarsi solo sulla creatività, spegnere proprio ogni voce critica e contraria. Lavorare solo di immaginazione, di fantasia, di entusiasmo. La valutazione dei costi e dei benefici va fatta solo dopo un po' di giorni, una settimana o ancora di più. In questo modo riusciremo ad avere delle idee fuori dal comune che il nostro spirito critico può soffocare sul nascere. Le idee che poi resisteranno all'analisi realistica magari sono davvero robuste e buone. Nella fase di ideazione può aiutarci molto il pensiero laterale.
  2. Sii l'esperto che già sei. Noi siamo già esperti di qualcosa solo perché l'amiamo. E' un'affettazione spesso l'idea che per diventare esperti di qualcosa servano anni di training ed esperienza. Un vero esperto di qualcosa è colui che sa apprendere dall'esperienza, che ha capito come apprendere in modo significativo, non colui che si incaponisce su qualcosa per decenni senza venirne a capo.
  3. Fai l'impossibile. Quante volte succede che pensiamo che qualcosa sia impossibile e poi invece arriva qualcuno e la fa? Prima del 1954 si riteneva impossibile per gli esseri umani correre in meno di quattro minuti un miglio. Poi arrivò Roger Bannister e questo divenne possibile. Tanto che dopo di lui altri sedici atleti hanno fatto ancora meglio. Il segreto è di circondarsi di persone che vivono già delle nostre stesse passioni e che ci mostrano che qualcosa è possibile. Io, per esempio, non pensavo che fosse possibile realizzare un intero spettacolo teatrale senza testo, senza canovaccio persino, senza personaggi, senza regia. Eppure da quando ho conosciuto i Match d'improvvisazione teatrale so che è possibile e come me altri che hanno dato vita ad altri spettacoli d'improvvisazione teatrale.


In realtà non riusciamo a monetizzare le nostre passioni non perché ci manchino:


  • abilità;
  • credenziali;
  • esperienze.
Ma perché, invece, ci mancano:
  • creatività;
  • coraggio.
E tu, in che modo hai tentato di avere successo con le tue passioni?

mercoledì 9 novembre 2011

Il Problem Telling su Google+

Da oggi, 9 novembre 2011, trovi il Problem Telling in una pagina di Google+. Potrai così seguire i post, le discussioni, le segnalazioni di questo blog anche attraverso il social network di casa google. Se non lo hai ancora fatto ti consiglio di iscriverti e di iniziare pian piano a creare le tue cerchie. Dopo la pagina fan su Facebook e gli aggiornamenti su Scoop, ho deciso di creare questa nuova pagina per dare più possibilità di seguire quest'arte che ti aiuterà ad approfittare dei problemi, ad imparare a raccontarli per meglio risolverli, a trovare chi vorrà condividerli con te. Per quanto riguarda i contenuti a volte capiterà che un nuovo contributo sarà presente in ciascuna di queste pagine mentre altre volte si tratterà di contenuti diversificati e mirati. Quindi di conviene seguire il Problem Telling in tutte e tre le forme segnalate. Approfitta dunque delle notevoli possibilità che il web 2.0 ti mette a disposizione e partecipa anche tu esponendo i tuoi problemi, leggendo quelli degli altri, imparando a usare gli strumenti migliori per affrontarli. Buon lavoro.
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mercoledì 28 settembre 2011

Il Problem Telling fa Scoop

Schermata del nuovo topic su Scoop.it
Il Probel Telling fa Scoop.it. Da oggi, 28 settembre 2011, è infatti presente come nuovo topic di questa piattaforma a disposizione di esperti in diversi campi per la rapida condivisione di contenuti, link, video, ecc. Segnatevi l'indirizzo www.scoop.it/t/problem-telling perché vi troverete aggiornamenti quotidiani (o quasi) relativi al problem solving, allo storytelling, al pensiero laterale. Ricordo infatti a chi segue da meno tempo il blog che il Problem Telling è l'arte di affrontare i problemi trasformandoli in storie interessanti da condividere, partendo dalle basi del problem solving. Per farvi un'idea più precisa leggete la breve pagina dedicata a questa arte. Vi sollecito ad abbonarvi ai feed rss del topic e a diventarne sottoscrittori cliccando su "Follow", in modo da ricevere gli aggiornamenti via email. Se volete condividere qualcuno dei contenuti che vi troverete ci sono a vostra disposizione le opzioni di condivisione sui principali social network. Vi invito anche a sottoscrivere questi altri topic:


Dopo un po' di tempo che avete esplorato questi e altri topic invito ciascuno di voi ad aprire un suo topic. Questo video qui di seguito vi spiega come funziona. Buon Scoop a tutti.

venerdì 23 settembre 2011

Moby Dick e il problem solving

In questo periodo ho avuto la fortuna di leggere il Moby Dick di Herman Melville e di partecipare come assistente alla regia del Moby Dick di Francesco Niccolini diretto da Enzo Toma. Ho quindi maturato alcune riflessioni in chiave di problem solving che vi propongo. Buona lettura.


Per Achab, il capitano del veliero che dà la caccia a Moby Dick, la balena è un muro da superare. Un ostacolo grave, che lo schiaccia, ma che lui sa di poter affrontare, sebbene corra il pericolo di morire nel farlo. Moby Dick gli ha divorato la gamba in una battuta di caccia precedente. Non lo ha lasciato solo mutilato, ma è come se lo avesse rinchiuso in una prigione dalla quale vuole evadere, visto il suo grande desiderio di libertà. La follia del capitano non è tanto di cercare questo capodoglio in tutti i mari del mondo, ma nel coinvolgere nell'impresa tutto l'equipaggio del Pequod. Sa che c'è una soluzione che coincide con la morte del cetaceo per mano di un rampone che lui stesso forgia. Lo smaciullamento del suo arto lo pone in una nuova condizione di vita. I problemi che deve affrontare sono:

  • come fare a ritrovare Moby Dick?
  • come mettere insieme la nave, le attrezzature, l'equipaggio giusto?
  • come finanziare l'impresa?
E riesce nel suo intento perché risponde alle tre domande. A quel punto l'incontro con il leviatano non solo non è impossibile ma diventa a portata di mano. 

Una mente folle la sua, ma l'impostazione dei problemi è lucida e corretta. Straordinaria anche la sua perseveranza. Dimostra anche grandi doti da leader e abilità retorica nell'arringare i suoi. Da non sottovalutare il suo senso pratico quando promette un doblone d'oro a chi per primo scorgerà il mostro a cui dà la caccia per i mari del mondo. Infine non nasconde a nessuno il suo intento, l'uccisione della balena bianca, anzi lo racconta a tempo debito, come sa fare il buon problem teller, sebbene sappia ammantarlo sotto la generale impresa della caccia alle balene, almeno all'inizio.

La fine della sua caccia e catastrofica per sé e per i suoi uomini. L'intelligenza e la forza di Moby Dick hanno la meglio sulla pur diabolica determinazione del capitano di Nantucket.  Il confronto tra i due, nelle tre giornate di caccia, è impietoso. La lancia di Achab viene sfondata per due volte e in una di queste lui viene scaraventato in mare per molto tempo e la sua gamba di avorio viene distrutta tanto che il carpentiere ne deve realizzare una nuova. Eppure Achab non rinuncia a cercare di ramponare il capodoglio sino all'atto finale. 

Due ostinazioni si confrontano: quella di Moby Dick e quella di Achab. Tra i due il savio Starbuck che implora il capitano di far ritorno a casa. Nella sua fine, però, il capitano si sente solo interprete del fato, del destino. Fino a quel momento conduce da abile problem solver ogni difficoltà, ogni problema. In questo è maestro di lucidità e ostinazione. Attraverso questo personaggio, l'equipaggio e il capodoglio Melville ci racconta tutto il mondo della baleneria in un vero e proprio trattato romanzato. Non trascura niente. Compie un vero e proprio viaggio della conoscenza la cui più importante articolazione non è però davvero la caccia alle balene. E' nella conoscenza di se stessi e della propria morte che Melville viaggia veramente. In questo dà una magistrale lezione all'aspirante problem teller: conoscere se stessi e propri limiti nel saper maneggiare con estrema competenza il proprio campo di lavoro, di attività.

Su questo stesso argomento puoi leggere anche il post Il Transatlantico e Moby Dick.

domenica 26 settembre 2010

Dicci la tua sul problem solving

Risultati del piccolo sondaggio sul
problem solving.
Si è concluso il piccolo sondaggio lanciato da questo blog tra i suoi lettori sul problem solving. Qui a sinistra si può vedere la schermata che riproduce i risultati, ancora consultabili, nella colonna di destra del blog, dove i votanti hanno espresso i loro pareri scegliendo tra le varie opzioni. Come si può vedere l'opinione più ricorrente è che il problem solving voglia dire "risolvere i problemi". Quante volte troviamo, infatti, l'espressione "attitudine (o orientamento) al problem solving" negli annunci di lavoro? E' tra gli skill più richiesti dalle aziende. Ma
qual'è davvero la sua natura?


Vediamo innanzitutto che cosa non è il problem solving e in questo ci aiutano le altre voci del sondaggio. Quindi il problem solving non è:


  • una tecnica informatica sebbene il problem solving in informatica sia molto adoperato;
  • evitare i problemi, può sembrare ovvio però spesso confondiamo le due cose tutte le volte che ci ostiniamo a non affrontare un determinato problema;
  • un'attitudine innata, perché s'impara;
  • un solvente come l'acquaragia: semmai un diluente o un attrezzo come un cacciavite o una pinza è uno strumento per risolvere il problema, non la sua soluzione.
Alcuni lettori del blog hanno voluto dire la loro in maniera più estesa su formspring. Ecco in sintesi le risposte. Il problem solving è:
Tu cosa ne pensi? E' ancora possibile esprimere il proprio punto di vista attraverso i commenti a questo post. Dicci la tua.

giovedì 16 settembre 2010

Ridurre il problema a un gioco

Foto: I'm Daleth.
Un cittadino ateniese, al vedere
Esopo in una frotta di ragazzi
giocare a noci, si fermò di botto
e rise come se vedesse un folle.
Più maestro che vittima del riso
intese il vecchio, e piazzò sulla via
un arco con il nervo rallentato:
"Orsù , o sapiente, interpreta il mio gesto",
disse. Si fece gente. Quello pensa,
suda, ma non fa luce sull'enigma,
finché s'arrende. E il saggio vittorioso:
"L'arco si spezza se sta sempre teso,
se lo rallenti è pronto al tuo volere".
Così l'anima deve anche giocare
per essere più valida al pensiero.
Fedro, Favole.


L'anima deve essere flessibile come un arco. Perché se è sempre tesa si spezza. Per questo motivo deve poter giocare. Il cittadino ateniese ritiene folle Esopo che gioca con dei ragazzi. Così facendo però deride chi in realtà è più saggio di lui perché senza gioco non c'è flessibilità del pensiero. Non dobbiamo, allora, aver paura del gioco perché esso non è che una riduzione della complessità che ci rende più semplice la soluzione dei problemi. Quante volte invece abbiamo la pretesa che il nostro problema non possa esser ridotto in un quadro più semplice? E' un grande errore perché se non lo riduciamo a un gioco non avremo l'elasticità mentale necessaria per risolverlo.