Il problem telling è l'arte di trasformare i problemi in storie, in narrazioni interessanti. E' la fase successiva al problem setting, che è l'arte di definire i problemi, e serve a “vendere” il problema agli stakeholder, cioè a tutti quelli che sono interessati al problema, dai decisori e i finanziatori, fino agli esecutori, i simpatizzanti o gli oppositori. Si giova dei riduttori di complessità (il gioco) e dell'immaginazione sviluppata anche attraverso l'improvvisazione teatrale. Ha alla sua base l'apprendimento significativo.
Il problem telling si propone di strutturare il problema come mappa mentale, onde trarne una possibile narrazione, e di trasformare il problema in una narrazione dotata di senso. Il problem telling è quindi un'arte e non una scienza, perché non si propone l’accertamento del vero, ma l’espressione del verosimile, del seducente, del convincente. Come tutte le arti, quindi, si serve di una serie di strumenti per arrivare a compiere un' “opera”, un progetto. In questo caso il “manufatto” che ne possiamo ricavare non è la soluzione di questo o quel problema, è piuttosto il racconto o i racconti che portano alla soluzione.
Oltre al mind mapping e all'improvvisazione teatrale questi strumenti sono:
- lo storytelling;
- il pensiero laterale;
- il pensiero visuale;
- il pensiero illusionistico.
I suoi campi sono in pratica infiniti perché ovunque c'è un problema c'è una storia e dove c'è una storia ci sono uno o più problemi. Tra questi ricordiamo:
- il problem solving personale;
- il management del tempo, degli eventi, delle risorse, ecc.;
- la politica;
- gli start up dei progetti;
- quando si vuole ottenere un cambiamento;
- nella facilitazione dei gruppi.