giovedì 29 luglio 2010

Risolvere e creare problemi con la magia e con il teatro

La costruzione di scenari, propri dell'arte delle illusioni e della scena, porta a cambiare il modo di rappresentare un problema. Quest'ultimo può assumere significati diversi, impensati. E' questa la lezione della grammatica dell'illusione che Matteo Rampin presenta in Pensare come un mago (Ponte alle grazie, Milano, 2006). Definendo l'effetto illusionistico come "un cambiamento apparentemente impossibile" ci dice che l'impossibile è possibile quando viene pensato. E in questo gli illusionisti, i cui modi di pensare Rampin ricostruisce, sono maestri. Imitandoli diventa allora possibile dare delle risposte a delle domande che altrimenti ne resterebbero prive. E' ciò che è accaduto, per esempio, con l'introduzione del vaccino che risponde al principio illusionistico della pars pro toto che rientra nella figura retorica della sineddoche. Quest'ultima è alla base del teatro: "la sostituzione sineddochica di una parte per il tutto è essenziale ad ogni livello della rappresentazione drammatica" scrive Keir Elan in Semiotica del teatro (Universale Paperbacks Il Mulino, Bologna, 1988, p. 35). Numerose ne sono le applicazioni sia nella scenografia sia nelle azioni degli attori, per forza di cose ridotte, a cui le menti degli spettatori attribuiscono particolari significati. Qualcosa di simile avviene anche nel cinema dove per esempio uno sparuto gruppo di persone può simulare un'intera folla. Quindi questo utilizzo di una parte per il tutto crea nella mente di attori e spettatori una diversa prospettiva della realtà che è spesso la leva giusta che ci serve per risolvere questo o quel problema. Questo avviene perché una mente che sa usare il pensiero illusionistico ma anche il pensiero laterale non accetta in modo passivo le premesse che gli vengono poste. Rampin cita in proposito l'episodio dei Vangeli sinottici in cui i dottori della legge chiedono a Gesù se sia lecito lapidare un'adultera in giorno di sabato. Se avesse risposto di sì avrebbe disubbidito ai Romani alla cui esclusiva giurisdizione spettava la pena capitale. Se avesse risposto di no avrebbe disubbidito alle leggi ebraiche. Perciò costruisce un'altra premessa chiedendo a chi fosse senza peccato di scagliare la prima pietra.


Qualcosa di analogo fa anche James Tiberius Kirk, capitano dell'Enterprise nella saga di Star Trek. La simulazione d'esame dell'accademia che lo consacrerà ufficiale è costruita in modo che nessuno possa superarla. Kirk in segreto, invece, altera il software della simulazione e perciò riesce a superare l'esame. Modifica quindi la realtà del problema che ha di fronte. In modo non diverso da Teseo quando utilizza il filo di Arianna per uscire dal labirinto dentro cui aveva ucciso il Minotauro. Se vogliamo quelli di Kirk e di Teseo sono dei trucchi, degli stratagemmi per uscir fuori da situazioni difficili. Pensata l'alternativa si trova anche il modo per realizzarla che, a questo punto, diventa la parte meno difficile del processo di problem solving. Il vero potere di un mago o di un attore sta nella sua mente, nella sua capacità di trovare rapidamente delle alternative. Nel teatro di prosa si ha anche diverso tempo per pensarci. Il drammaturgo che scrive il copione ha tutto il tempo che vuole, così come un giallista o un enigmista o uno sceneggiatore. Negli spettacoli d'improvvisazione teatrale non si ha niente a disposizione se non se stessi in una determinata situazione. Si usano solo quei pochi elementi di cui si dispone facendo leva sull'attribuzione di significati, caratteristica questa che gli attori hanno in comune soprattutto con gli illusionisti e i bambini: ecco una delle ragioni perché nell'improvvisazione teatrale è così necessaria la spontaneità. Grazie ad essa ci si libera dai pregiudizi e dagli stereotipi che altrimenti non ci fanno neanche vedere le possibilità che abbiamo di fronte.


Spesso va messa da parte persino la propria educazione. Keith Johnstone, uno dei padri dell'improvvisazione teatrale, è perentorio su questo: "creare qualcosa significa andare contro la propria educazione" (Impro, Dino Audino Editore, Roma, 2004, p. 71). L'educazione, infatti, spesso non è altro che il ripetere determinati comportamenti di fronte alle varie situazioni. Ma il ripetere una certa mossa è per lo più garanzia di insuccesso specie quando non si capisce ciò che si sta fronteggiando. Ad un comico può succedere, ad esempio, che le battute che hanno fatto ridere un pubblico non facciano ridere un altro pubblico. Nel caso è spacciato a meno ché non riveli delle buone doti di improvvisatore come Robin Williams che nelle sue stand up comedy mischia battute pronte e battute a braccio. Perciò Robin Williams riesce ogni volta a sorprendere il pubblico, come sa fare anche un buon prestigiatore, quand'anche presenti dei numeri classici di prestidigitazione. Perché il suo vero potere non è tanto nelle tecniche e nella destrezza ma nella sua mente, nel pensiero, nella sua capacità di costruire quelle alternative che un tipo di pensiero logico, verticale non sa e non può trovare. "I problemi in quanto costruzioni mentali, esistono solo rispetto alla mente di qualcuno" scrive Rampin (p. 95). E' quindi la nostra mente il terreno di caccia del problem solver, alla ricerca di quei meccanismi mentali, pregiudizi, bias e di ogni altra difficoltà che ci porta davanti all'autoinganno che è il problema. E ci si può riuscire se si fa un lavoro di tipo semantico, cioè nella produzione di significati alternativi.


Com'è possibile, quindi, generare questi cambiamenti? Al capitolo 1 Rampin dice: "conviene pensare non a come trasformare l'impossibile in possibile, ma a come trasformare il possibile in impossibile (ossia rendere impossibile agli altri la comprensione delle cose" (p. 40) che è poi ciò che fa il prestigiatore che deve lavorare sempre su due logiche: quella dello spettatore, che è la logica verticale, e quella propria, interna, dietro le quinte che fa diventare appunto il possibile (i movimenti, i gesti, gli accorgimenti, ecc.) impossibile.

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