venerdì 30 luglio 2010

Gioco e problem solving nel cinema di Méliès

A Parigi gli spettatori del primo film mostrato in europa, l'arrivo di un treno in una locale stazione, erano rimasti ancora con gli occhi sbarrati e la bocca aperta per lo stupore, quando uno di essi si avvicina, si presenta come prestigiatore e chiede se può acquistare un apparecchio come quello che ha visto per proiettare le immagini. La risposta dei due fratelli che avevano organizzato la proiezione è secca: no, questo è un apparecchio che non è destinato al gioco, al teatro, ma alla scienza. Era il 1895. I due fratelli erano Louis e Auguste Lumière e il prestigiatore era Georges Méliès. Prosegue con questo post una riflessione sul rapporto tra la magia, il teatro e il cinema da una parte e il problem solving dall'altra iniziata ieri con il post Risolvere e creare problemi con la magia e con il teatro.

Georges Méliès può essere considerato il padre del cinema. Prima di lui, infatti, i fratelli Lumière erano fermi ai documentari. Non solo: non avevano capito il reale valore di quello che stavano facendo perché pensavano che la loro invenzione era destinata solo ad ambiti scientifici. Quando, infatti, nel 1895 l'illusionista prestigiatore Méliès chiese di comprare l'apparecchio da loro usato questi si rifiutarono di venderglielo asserendo che esso aveva a che fare con la scienza, non con il gioco o il teatro. Per nulla scoraggiato Méliès, si fece costruire una macchina da presa rudimentale da un ingegnere e diede inizio ad una straordinaria carriera di regista che durò fino al 1913. In tutti questi anni realizzò nel suo teatro di posa qualcosa come 1.500 film (in gran parte andati distrutti) in cui spiccano diversi capolavori. Tra questi Viaggio nella luna, da cui è tratta la celebre immagine in alto a sinistra che riproduce il razzo usato dai cosmonauti per andare sulla luna che va a conficcarsi in uno dei due occhi del volto della luna.

Il cinema di Méliès si può considerare come "il teatro dell'impossibile" perché sovverte le leggi della fisica, la logica e la quotidianità. In quasi tutta la sua filmografia, infatti, è alle prese con una serie di illusioni che scandagliano l'impossibile. Non è un caso se uono dei suoi maggiori capolavori si intitola proprio Viaggio attraverso l'impossibile. Qui Méliès compie un viaggio in cielo, sul sole e nelle profondità marine. Del resto l'impossibile era il suo mestiere prima di approdare al cinema visto che era uno dei migliori prestigiatori al mondo, tanto da aver ereditato il teatro del grande Houdini. Davanti ai suoi cortometraggi gli spettatori restavano a bocca aperta, come inebetiti chiedendosi "ma come ha fatto"? Si veda ad esempio Le Magicién del 1898.



Oggi questo genere di film non ha lo stesso effetto che aveva sugli spettatori a lui contemporanei nei quali, invece, suscitava meraviglia e stupore. Per riuscirci faceva ricorso a tutto il repertorio delle
tecniche illusionistiche, che conosceva alla perfezione: apparizioni, sparizioni, ombre e proiezioni, simulacri. Quando, infatti, volle comprare l'apparecchio dei Lumière non sapeva bene che farsene, ma ben presto non appena ebbe la tecnologia che gli occorreva tra le mani vi traspose tutta la sua sapienza di prestigiatore. Una delle prime realizzazioni fu infatti Escamotage d'une dame chez Robert-Houdin in cui appare lui stesso che fa scomparire una donna. Il cinema gli deve essere apparso come una grande opportunità per ampliare le possibilità dei suoi trucchi, delle sue illusioni. E vi si immerge con tanto entusiasmo. Per lui questa nuova invenzione non è una esclusiva degli ambiti scientifici, come avrebbero voluto i Lumière, ma un bellissimo giocattolo. I suoi film sono infatti modulati secondo gli stilemi della farsa, pieni di umorismo e di personaggi, come i diavoli, i maghi e i pierrot che provengono da tutta la carica vitale della commedia dell'arte. Si guardi, ad esempio, Lune à un metr del 1898.




Questo sguardo agli albori del cinema ci permette alcune riflessioni, anzi delle vere e proprie lezioni. Partiamo dal gioco: per Méliès, come abbiamo visto, il cinema è
un grande gioco, quasi fanciullesco, immaginifico in cui si bada al divertimento e non all'educazione morale come invece farà altro cinema a lui contemporaneo. E' questa la prima grande lezione perché questo grande regista si diverte a scoprire tutte le possibilità che le nascenti tecnologie cinematografiche danno allo spettacolo. E nei suoi film tutto è diletto, divertimento. Non ha potuto lavorare con grandi attori ma lui stesso è disinvolto e si muove con grande destrezza come anche alcune maschere che utilizza, votate al gioco e agli scherzi e ai lazzi come i maghi e i diavoli. In questo non sminuisce le possibilità artistiche del cinema ma le amplifica. Perché tutti si divertono: lui, gli attori, la troupe, gli spettatori. E questa è una magnifica possibilità di esplorazione in ogni direzione: verso i problemi, le possibilità, ecc. Ed è il vero grimaldello per affrontare la complessità. Il gioco, infatti, è un riduttore di complessità. "Il gioco mette in moto tutte le forme di pensiero, il pensiero verticale e quello laterale, la razionalità e l'emotività, il pensare e l'agire. (...) Il gioco può servire ad analizzare la situazione con occhi diversi, a vedere problemi che altrimenti non erano evidenti" scrive Umberto Santucci in Fai luce sulla chiave (L'airone).

Chi sono i più abili nell'utilizzare il gioco? I bambini, è naturale. E' davvero una risorsa potentissima perché grazie ad esso possono risolvere situazioni che altrimenti ristagnerebbero. Si legga la novella Il pellegrino Alì Cogia e il mercante astuto ne Le mille e una notte. Essa narra di un ricco mercante di stoffe, Alì Cogia, che parte per il pellegrinaggio a La Mecca. Prima di partire nasconde delle monete d'oro in un vaso con delle olive in superficie, lo sigilla e lo affida a un amico mercante, chiedendogli di custodirlo. Quest'ultimo vedendo, dopo anni, che il ricco mercante non faceva ritorno dal suo viaggio aprì il vaso e vi trovò le monete d'oro. Per ogni evenienza gettò via le olive ormai marcite, ne comprò di nuove e chiuse di nuovo il vaso. Poco dopo Alì tornò e si fece ridare il vaso. Non trovandovi più le monete d'oro si rivolse al giudice per ottenere giustizia ma quest'ultimo ascolta le due versioni (quella del ricco mercante e quella del mercante astuto) e pensa che Alì vuol approfittarsi dell'altro mercante e così rigetta le sue accuse. Per nulla vinto da questo giudizio allora si rivolge al califfo Harùn ar-Rashìd. Questi aveva l'abitudine di travestirsi e di passeggiare per le vie della città. Così facendo vede in un cortile dei bambini che giocano alla messinscena del processo di Alì contro il mercante astuto. Il giudice bambino chiede che gli venga portato il vaso e chiede ad altri bambini, sedicenti esperti di olive, se quelle olive che vi si trovano dentro sono recenti oppure vecchie di anni. Il responso è che sono molto recenti. Così il giudice bambino avvalla le accuse di Alì Cogia e condanna il custode del vaso, reo di essersi impossessato delle monete d'oro ivi contenute. L'indomani il califfo fa chiamare questo bambino e fa giudicare allo stesso modo il caso.

E allora mi sembra il caso che ci facciamo qualche domanda. Giochi mai? Ti sei mai reso conto delle potenzialità del gioco? Hai mai provato a risolvere dei problemi giocando? Quali giochi hai utilizzato? Se vuoi rispondi nei commenti.

Delle altre lezioni ci occuperemo in post successivi, ad ogni giorno la sua pena ;-)

Chi vuole saperne di più su Georges Méliès può divertirsi a navigare questa mini-mappa qui di seguito.


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