mercoledì 18 novembre 2009

Il Problem Telling per la politica

Che differenza c'è tra l'agitare i problemi e il risolverli? In che modo la politica può essere davvero uno strumento per risolvere i problemi? Questo post cerca una risposta a queste due domande e vuole dare un'indicazione ai politici e a chi aspira ad essere eletto. Vuole dare un suggerimento soprattutto al prossimo candidato alla presidenza del consiglio: definisca bene i problemi e poi impari a trasformarli in narrazioni interessanti, in storie insomma.

Politici e ideologi sono maestri nell'agitare problemi generici e astratti, buoni per tutte le circostan­ze. E la ragione di ciò dipende dal fatto che agitare un problema serve a impedire una discussione. E colo­ro che utilizzano la politica per tornaconti personali e interesse di lobby si comportano in questo modo, violando peraltro le regole della democrazia. Questi usano i problemi in modo “politico”, in­teso nella sua accezione più degradata, politicante. Vengono usati in questo senso la disoccupazione, l'immigrazione, il testamento biologico, ecc. Sull'altro versante c'è invece l'uso della politica per risolvere i problemi. E in questa ottica il problema viene ben definito, inqua­drato e suddiviso in una serie di problemi minori. Il proble­ma della disoccupazione implica di determinarne gli ambiti alla sfera politica, la sfera economica, la sfera fiscale, la sfera della formazione. E ancora delimitare le fasce di età, la tipologia (attesa del primo lavoro o perdita del lavoro), la zona (nord, centro, sud), il settore (industria, terziario, nuove tecnologie), e così via. La politica ha bisogno dei metodi e dell'ottica del problem solving, se vuole dare risultati ed è intesa come servizio. Ed ha gran bisogno del Problem Telling, al quale peraltro è affine. Pensiamo ad un candidato alle elezioni che oltre a scagliarsi contro questo o quel punto che non condivide degli avversari, racconta il suo programma in due-tre punti chiave, che sono il risultato dell'ascol­to attento delle vere esigenze dei cittadini (problem setting). Facciamo finta che nel suo programma ci sia la creazione di risorse, strumenti e migliori condizioni per lo sviluppo del turismo. Ora, questo candidato avrà bisogno di rac­contare in modo chiaro e interessante i problemi che ne derivano, sviluppandoli con giochi di immaginazione. Se, per esempio, davvero il turismo riesce a svilupparsi, dove ospitiamo le tante persone che arrivano se le nostre strutture ricettive non sono sufficienti? Come facciamo ad assicurare loro che tutti i luoghi da visitare siano accessibili visto che spesso o sono chiusi o non c'è personale? Problem setting e problem telling non risolvono i problemi, li scoprono, li definiscono, li “vendono”. Il setting rende un problema risolvibile, il telling lo rende interessante.

Il problem telling sconfina nello storytelling, grande strumento di potere. La narratologia è da tempo usata per l'organizzazione e il mantenimento del consenso. E' ovvio che i potenti la usino in modo verticistico e in modo da influenzare gli elettori, laddove ci siano libere elezioni, o i sudditi, laddove ci siano monarchie o teocrazie. Ma lo storytelling come rete di storie, dal basso, è usato anche da coloro che al potere si contrappongono, ne fanno oggetto di satira come Dario Fo, Luttazzi, ecc. C'è una guerra tra le due forme oggi amplificata dal Real Time Web. Il Problem Telling adotta lo storytelling ma è più organico al problem solving, è la soglia tra problema e storia, una soglia mobile, senza soluzioni di continuità. Come tale si deve occupare della produzione di storie, ne deve individuare le risorse, le modalità, ecc. Perciò il politico se vuole parlare al cuore della gente non in modo retorico ed artificioso deve imparare a inquadrare i problemi secondo un'ottica di problem solving e poi deve riuscire a raccontarli per farne delle storie condivise.

Photo credit:adrianobonc. La prima parte del post è stata scritta in collaborazione con Umberto Santucci.

giovedì 12 novembre 2009

Le tre opzioni a L'Aquila

Oggi Umberto Santucci, consulente e formatore di problem solving strategico, è tornato ad insegnare in Accademia a L'Aquila per la prima volta dopo il terremoto. Umberto ha già dedicato un bell'articolo alla situazione dell'Abruzzo e in particolare del suo capoluogo, già a due settimane dall'accaduto, nell'articolo L'Aquila, le mani sulla città ferita. Se n'è anche tanto discusso dal punto di vista del problem solving nel gruppo Problem Telling su Facebook. All'indomani del terremoto avevo promesso che avrei seguito gli aggiornamenti della situazione per imparare la grande lezione che questo disastroso evento (per colpa degli uomini) sta fornendo a tutti coloro che hanno voglia di apprenderla. Perciò ho chiesto a Umberto di mandarmi le sue impressioni a caldo dalla città. Eccole qui di seguito.
Oggi ho fatto la prima lezione del corso all'Accademia dell'Immagine dell'Aquila. E' la prima volta che torno all'Aquila dopo il sisma. Ho fatto un giro nel corso principale, una delle pochissime vie accessibili. Oltre alla grande impressione della città deserta, mi hanno colpito piccoli particolari che si notano in situazioni apparentemente "normali": una crepa, un cartello a pennarello, un pilastro tutto imbracato. Anche nella foto della sede dell'INPS sembra tutto a posto, ma manca un pezzo di balcone e qua e là i blocchi di marmo sono disconnessi.
Ora si prospettano tre possibilità:
1. farne un grande rudere abbandonando tutto e trasferendosi altrove;
2. dare tutto in mano a cosche politico/camorristiche che demoliscano il più possibile per ricostruire ispirandosi a Castel Volturno;
3. ripristinare il più possibile le facciate per recuperare il volto della città, e ricostruire bene all'interno, con criteri innovativi.
L'ipotesi 3 è la più auspicabile, la 2 è la più probabile, anche se gli amici aquilani mi hanno detto che il prefetto si sta dando da fare nel contro
llo dei subappalti.

Fin qui la nota di Umberto. Se vogliamo sono le tre opzioni fondamentali per qualsiasi edificio nella città dell'aquila. E credo che tutta la serie di case che il governo sta costruendo ex novo vadano nell'ottica del primo punto perché comunque si tratta di edifici di nuova urbanizzazione. E' vero che costruire nuove case costa meno che ristrutturare le esistenti ma questo significa far dei centri abitati terremotati dei centri fantasma. Oppure delle grandi occasioni per le infiltrazioni mafiose per i cantieri della demolizione oltre che per quelli della costruzione. Ecco perché il terzo punto è il più auspicabile e il più conveniente, io credo. Il terremoto è stato un evento la cui possibilità non è stata presa in considerazione o trascurata pur essendo l'Abruzzo zona sismica e L'Aquila terreno che amplifica gli effetti dei terremoti. Abbiamo avuto una chiara dimostrazione che occorre prevenire gli eventi ponendoci dei problemi prima che accada l'inevitabile. Ora occorre prevenire un altro disastro socio-economico: il declino della città e della regione. Quali i problemi in campo? La parola ai commenti e a prossimi post in proposito.

martedì 3 novembre 2009

Lo zen e l'arte di narrare i problemi

Encho era un famoso cantastorie. I suoi racconti d'amore commuovevano chiunque li ascoltasse. Quando raccontava una storia di guerra, era come se gli ascoltatori si trovassero proprio sul campo di battaglia. Un giorno Encho incontrò Yamaoka Tesshu, un laico che aveva quasi raggiunto la totale padronanza dello Zen. «Ho sentito» disse Yamaoka «che tu sei il più bravo cantastorie del nostro paese e fai piangere e ridere la gente a tuo piacimento. Raccontami la mia storia preferita, quella del Bambino Pesca. Quando ero piccolo dormivo accanto a mia madre, e spesso lei mi raccontava quella favola. A metà del racconto mi addormentavo. Dimmela come me la diceva mia madre».

Encho non osò affrontare subito questa prova. Chiese un po' di tempo per studiare. Dopo parecchi mesi andò da Yamaoka e disse: «Ti prego, dammi la possibilità di raccontarti la favola».

«Un altro giorno» rispose Yamaoka.

Encho restò molto deluso. Continuò a studiare e provò di nuovo. Yamaoka lo rimandò indietro molte volte. Quando Encho cominciava a parlare, Yamaoka lo interrompeva dicendo: «Non sei ancora come mia madre».

Encho impiegò cinque anni per riuscire a raccontare la favola a Yamaoka come gliel'aveva raccontata sua madre.

(Photo credit: k.Akagami)

Questa storia zen è tratta da fiordacqua e ci introduce il Problem Telling, che è l'arte di trasformare i problemi in narrazioni interessanti. Molti quando hanno un problema corrono a raccontarlo ai familiari o al vicino o agli amici. Altri riempiono la propria bacheca in Facebook per farlo. Altri ancora vanno in televisione a parlarne. Perché, si dice, quando c'è un problema non bisogna tenerselo dentro ma esprimerlo. Le possibilità odierne di raccontare i problemi sono davvero tante e passiamo molto tempo a farlo: metà del nostro tempo all'incirca è dedicato alla discussione di questo o quel problema sul lavoro, a casa, con gli amici. Questi ultimi a volte sono contenti di partecipare alla discussione di uno o più problemi ma molte altre volte o sono scocciati o non hanno tempo di discuterli. Ma il raccontare i problemi (più che l'ascoltarli) o l'agitarli è una delle attività preminenti dei mass media così come degli utenti dell'internet.

Ma davvero la prima cosa da fare quando ci capità un problema è raccontarlo? La risposta è si e no. Si perché questo ci aiuta a definirlo il problema, che è il primo grande passo da fare. No perché la maggior parte delle volte non sappiamo raccontarli i problemi, non sappiamo nemmeno bene cosa siano, li confondiamo con le condizioni o con gli obbiettivi o con falsi problemi e altro ancora. Possiamo allora raccontare i problemi a patto di imparare a raccontarli. E i talk show non aiutano in questo, come nemmeno, purtroppo, tante discussioni. Encho, pur essendo un cantastorie, uno storyteller professionista ha bisogno di studio, di tempo e di prove prima di riuscire a raccontare una storia nel modo semplice così come raccontava storie la madre di Yamaoka. Si badi bene che storia e problema sono due termini intercambiabili: ogni storia è un problema e ogni problema è una storia. Pensiamo a Romeo e Giulietta: senza il problema dell'opposizione delle rispettive famiglie al matrimonio dove sarebbe la storia? Il problem telling è l'arte che viene in soccorso all'inizio del nostro problema per definirlo e presentarlo a se stessi e agli altri (e sdrammatizzarlo). Ma ci aiuta soprattutto alla fine, quando il nostro problema, a questo punto reso interessante, va "venduto" a tutti coloro che devono mettere i soldi in un progetto, coloro che devono portarlo a termine, quelli che devono prendere una decisione in proposito. E qui il problem telling dà il meglio di sé fornendo prassi e strumenti per fare del nostro problema qualcosa di verosimile, seducente, convincente. Pensiamo a quanto bello, magnifico, seducente dovesse apparire l'enorme cavallo di legno lasciato da Ulisse sulla spiaggia. E' con esso che i greci risolsero il problema dell'assedio di Troia una volta per tutte.

(immagine: La processione del cavallo di Troia in un dipinto di Tiepolo)