domenica 26 settembre 2010

Dicci la tua sul problem solving

Risultati del piccolo sondaggio sul
problem solving.
Si è concluso il piccolo sondaggio lanciato da questo blog tra i suoi lettori sul problem solving. Qui a sinistra si può vedere la schermata che riproduce i risultati, ancora consultabili, nella colonna di destra del blog, dove i votanti hanno espresso i loro pareri scegliendo tra le varie opzioni. Come si può vedere l'opinione più ricorrente è che il problem solving voglia dire "risolvere i problemi". Quante volte troviamo, infatti, l'espressione "attitudine (o orientamento) al problem solving" negli annunci di lavoro? E' tra gli skill più richiesti dalle aziende. Ma
qual'è davvero la sua natura?


Vediamo innanzitutto che cosa non è il problem solving e in questo ci aiutano le altre voci del sondaggio. Quindi il problem solving non è:


  • una tecnica informatica sebbene il problem solving in informatica sia molto adoperato;
  • evitare i problemi, può sembrare ovvio però spesso confondiamo le due cose tutte le volte che ci ostiniamo a non affrontare un determinato problema;
  • un'attitudine innata, perché s'impara;
  • un solvente come l'acquaragia: semmai un diluente o un attrezzo come un cacciavite o una pinza è uno strumento per risolvere il problema, non la sua soluzione.
Alcuni lettori del blog hanno voluto dire la loro in maniera più estesa su formspring. Ecco in sintesi le risposte. Il problem solving è:
Tu cosa ne pensi? E' ancora possibile esprimere il proprio punto di vista attraverso i commenti a questo post. Dicci la tua.

giovedì 16 settembre 2010

Ridurre il problema a un gioco

Foto: I'm Daleth.
Un cittadino ateniese, al vedere
Esopo in una frotta di ragazzi
giocare a noci, si fermò di botto
e rise come se vedesse un folle.
Più maestro che vittima del riso
intese il vecchio, e piazzò sulla via
un arco con il nervo rallentato:
"Orsù , o sapiente, interpreta il mio gesto",
disse. Si fece gente. Quello pensa,
suda, ma non fa luce sull'enigma,
finché s'arrende. E il saggio vittorioso:
"L'arco si spezza se sta sempre teso,
se lo rallenti è pronto al tuo volere".
Così l'anima deve anche giocare
per essere più valida al pensiero.
Fedro, Favole.


L'anima deve essere flessibile come un arco. Perché se è sempre tesa si spezza. Per questo motivo deve poter giocare. Il cittadino ateniese ritiene folle Esopo che gioca con dei ragazzi. Così facendo però deride chi in realtà è più saggio di lui perché senza gioco non c'è flessibilità del pensiero. Non dobbiamo, allora, aver paura del gioco perché esso non è che una riduzione della complessità che ci rende più semplice la soluzione dei problemi. Quante volte invece abbiamo la pretesa che il nostro problema non possa esser ridotto in un quadro più semplice? E' un grande errore perché se non lo riduciamo a un gioco non avremo l'elasticità mentale necessaria per risolverlo. 

domenica 5 settembre 2010

La storia del soldato e della principessa

Auguriamo buona domenica a tutti con questo video, da Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, perché è un bell'esempio di problem telling inconsapevole, anche se amaro. Altri video li potete trovare nella video playlist.

Collegare è meglio che sapere

credit: Extra Medium
In questi giorni tanti studenti sono impegnati nei test di ammissione alle varie facoltà universitarie. Purtroppo è la prima tappa di una carriera che li porterà in molti casi alla distruzione della loro capacità di risolvere problemi. Al San Raffaele di Milano, però, stanno provando a invertire la tendenza. Ma vediamo, prima di tutto, di capirci qualcosa con una storiella.

A Chiara piacevano tutt'e due. E ad entrambi, Gian Maria e Antoine, piaceva Chiara. Lei, però, non sapeva decidersi. Una sera fissavano tutti e tre le stelle supini su una terrazza. "Darò un bacio a chi saprà riconoscere più costellazioni tra tutte queste stelle" esclamò Chiara. A Gian Maria non parve vero perché, da grande astrofilo quale era, avrebbe avuto partita vinta con troppa facilità. Perciò senza esitare cominciò a dire: "La vedi quella A allungata? E' la costellazione della principessa Andromeda. E' quel quadrilatero di stelle? E' Ercole. Quella grande W, invece, è Cassiopea..." e continuò così elencando tutte le costellazioni che scorgeva anche perché le conosceva tutte. Antoine stette ad ascoltarlo e per la prima volta anche lui ebbe modo di riconoscere costellazioni di cui aveva sentito parlare ma che non era in grado di individuare. Perciò per lui non c'erano speranze di ricevere il bacio di Chiara. Lei però si voltò verso di lui e gli chiese: "E tu, non mi indichi nessuna costellazione?". "Certo che sì" rispose Antoine. "Vedi quelle stelle che formano come un cavallo con il muso, la coda e le zampe e una figura sopra con una gonna? E' la costellazione della principessa Sissi. E quelle altre stelle che formano come una canna da pesca che hanno arpionato una forma che ricorda un cappello? E' il cappello di Franz. E quelle altre stelle a forma di bouquet, sono i fiori offerti a Sissi...". A Chiara cominciarono a brillare gli occhi quando Gian Maria li interruppe: "Ok, abbiamo capito che sei bravo ad inventarti le costellazioni. Ma il bacio spetta a me che ho riconosciuto più costellazioni di te Antoine". Ma non aveva ancora finito di parlare che Chiara aveva iniziato a baciare proprio Antoine. Poi si voltò verso Gian Maria e gli disse: "Ti sbagli, ha vinto lui perché ascoltandoti ha imparato le costellazioni che sai riconoscere tu, poi ne ha aggiunto altre che si è inventato collegando le stelle come meglio credeva".

Più sai meno conosci dice il Tao. Più nozioni si hanno, più è cristallizzata la nostra conoscenza. Più cose sappiamo e meno siamo in grado di risolvere un problema. Più sappiamo invece collegare i dati a disposizione in un modo insolito e fino ad allora sconosciuto più possibilità abbiamo di venire a capo di faccende che all'inizio sembrano incomprensibili. I test scolastici di questi giorni per le ammissioni alle varie facoltà a numero chiuso sono però purtroppo ispirati da una logica nozionistica. Non tutti per fortuna. Al San Raffaele di Milano hanno fatto una scelta diversa. Per accedere alla facoltà di Medicina e Chirurgia hanno privilegiato il problem solving. In che modo? Su 100 domande:

  • 50 riguardavano la logica;
  • 10 domande la soluzione di problemi in ambito biologico;
  • 10 in ambito matematico;
  • 10 in fisica;
  • 10 in chimica;
  • 10 la cultura generale.
Una bella e coraggiosa scelta che speriamo sia seguita da altri atenei al più presto. Ma si tratta di un primo passo perché il successivo e definitivo è l'abbandono dei test che in realtà non funzionano. "I test che richiedono esclusivamente di possedere delle capacità di memoria o di riconoscimento possono essere adatti per valutare l'apprendimento meccanico ma non possono verificare in che modo e fino a che punto le strutture concettuali sono state create o modificate dallo studente" scrive Joseph Novak in L'apprendimento significativo (Erickson). E queste capacità si possono sviluppare e verificare soltanto attraverso le mappe concettuali.

giovedì 26 agosto 2010

Vendi il problema

Ignacy Machlanski:
Problem, 1934
Oggi vi proponiamo un post di Seth Godin pubblicato ieri, 25 agosto 2010, nel suo blog. Riguarda il mondo del marketing, di cui Godin è uno degli esperti di maggior successo al mondo. Il suo post mette in evidenza con semplicità uno dei principali suggerimenti che da qualche tempo stiamo cercando di far passare: invece di impuntarci a vendere ciò che di meraviglioso e fantastico abbiamo da vendere, vendiamo il problema che non solo è una risorsa ma ci mette sullo stesso piano dei nostri potenziali acquirenti. Ecco cosa dice il papà del permission marketing, Seth Godin.




Nessuna impresa acquista una soluzione ad un problema che non ha.


Eppure molti operatori nel business to business passano subito a caratteristiche e vantaggi, senza prendersi il tempo per capire se la persona all'altro capo della conversazione / chiamata / lettera ritiene che anche essi abbiano un problema.


La mia amica Marcia (ci siamo informati a vicenda su vari progetti) ha un'idea molto cool per i grandi studi professionali. Come architetto, si rese conto che le imprese stavano perdendo tempo e denaro ed efficienza nel modo in cui utilizzano il loro spazio. Il Roomtag è la sua risposta.


La sfida è questa: se il vostro grande studio legale o impresa di contabilità non pensa di avere un problema di mappatura dello spazio di distribuzione dei materiali e di tracking del servizio, voi non sarete alla ricerca di una soluzione. Non vi sveglierete al mattino sognando come risolverlo, o andrete a letto chiedendovi quanto vi sta costando ignorarlo.


E così la sfida di marketing è vendere il problema.


(Interessante paradosso: un sacco di persone non sono disposte a abbracciare l’idea di avere un problema a meno ché non credano anche che ci sia una soluzione... quindi parte del vendere un problema è suggerire che c’è una soluzione che altri stanno usando, o che è giusto dietro l’angolo).


Immaginate, per esempio, di ottenere i dati e di pubblicare un elenco delle prime 50 imprese, classificate in base all'efficienza di uso dello spazio. All’improvviso, le imprese della metà inferiore della lista si rendono conto che sì, in realtà, hanno qualcosa su cui hanno il bisogno di lavorare. Se voi aveste saputo che la vostra impresa stava pagando il doppio per socio come la concorrenza, vi sareste resi conto che c’è un problema.


Quando una prospettiva arriva alla scrivania e dice, “abbiamo un problema”, allora siete entrambi sullo stesso lato della scrivania quando arriva il tempo di risolverlo. Al contrario, se qualcuno è davanti alla vostra scrivania, perché siete persistenti e affascinanti, l’unico problema che questi ha è, “come faccio ad uscire da qui”.




Leggi l'articolo tradotto dall'inglese.


p.s.: ci scusiamo per il link al sito sul roomtag che al momento in cui scriviamo non funziona ma riteniamo che il sito web sia in manutenzione. Riprovate in seguito.

martedì 24 agosto 2010

Mappe mentali con l'iPad

Immagine tratta dal blog ipader.it

Chi l'ha detto che l'iPad sia solo uno strumento di consultazione di pagine web, video e delle altre risorse del web? Sapevate che ci sono delle applicazioni che vi permettono di creare delle mappe mentali? Le mappe mentali sono una potente tecnica di rappresentazione grafica del pensiero che pensa, studia, organizza ecc. Sono molto utili anche nel problem solving per rappresentare un problema nelle sue componenti fondamentali. Per esempio potremmo realizzare una mappa del problema a partire dai suoi rami fondamentali: Chi; Che cosa; Quanto; Quando; Dove; Come; Perché. Presto mostreremo in questo blog come fare. Intanto potreste divertirvi con le applicazioni per l'iPad segnalate da ipader.it. Se avete l'iPad e le provate fateci sapere nei commenti come vi siete trovati. Se non avete l'iPad, come me, le mappe potete farle al computer o su un bel grande foglio da disegno, a mano come fa Roberta Buzzacchino. Se non avete capito bene cosa sono le mappe mentali e come utilizzarle nel problem solving pazientate qualche giorno e ne parleremo in questo blog.

giovedì 19 agosto 2010

Una prova di pensiero laterale nei bambini


Bella foto del post I bambini e il pensiero laterale che testimonia come a questo bimbo o bimba (non è chiaro ma non è importante) il pensiero laterale, di cui abbiamo parlato nell'ultimo post, venga da solo, in modo spontaneo. Quanti di noi avrebbero pensato che questo manufatto per parcheggiare le biciclette sarebbe potuto diventare un tubo da attraversare? Il pensiero laterale ci aiuta a trasformare gli oggetti, a giocare con essi dando loro nuove possibilità e  nuovi usi. E non è forse ciò che fanno di continuo i bambini? Perché non imitarli? Perché limitare il nostro pensiero e non dargli la possibilità di scoprire nuove direzioni?

lunedì 16 agosto 2010

Pensiero laterale, improvvisazione e problemi

Credit immagine: Peace (v i p e z
su Flickr)
"interviene in tutti i casi in cui può tornar utile impostare un problema secondo una formula nuova" 
scrive Edward De Bono in Pensiero laterale che continua dicendo, ad esempio che 
"la realizzazione delle idee nuove non provoca necessariamente un aumento di spese industriali, più spesso, anzi, consente di ridurle. Essa permette una maggiore efficienza produttiva, l'utilizzazione di materiali di scarto, una semplificazione dei progetti che rende la loro attuazione più facile e meno soggetta agli inconvenienti di  montaggio, una riduzione di costi a parità di prestazioni". 

Questo perché il pensiero laterale è alla costante ricerca di soluzioni nuove. E questo è bene che non lo facciano solo i ricercatori di professione ma tutti in azienda. Anche perché lo stesso De Bono riconosce come tutti siano in grado di acquisire una mentalità laterale che si acquisisce come quando s'impara a giocare a golf, a sciare, una lingua straniera e così via. E' una forma mentis a cui si giunge con l'esercizio. La soluzione nuova è lì spesso a portata di mano: basta solo mettere in nuova correlazione gli elementi del problema.  E quando la soluzione più semplice, efficace ed essenziale sarà raggiunta ci verrà da esclamare: "ma come ho fatto a non pensarci prima? Era così semplice!". 

Tutto questo ricorda alcuni giochi o esercizi di improvvisazione teatrale, quando soprattutto si producono nuove storie includendo oggetti, personaggi e situazioni le più disparate ed eterogenee tra loro. Il procedimento è molto simile a quando in un problema si inserisce qualche elemento estrapolato da altri contesti. Uno stratagemma, questo, a cui spesso sceneggiatori di film e serie tv ricorrono spesso. Questo nuovo elemento dà una luce nuova ed inaspettata a ciò che si stava esaminando prima. Senza di quell'elemento spesso brancoliamo nel buio perché ci concentriamo su ciò che per stanchezza o per assuefazione non ci dà frutto. Ma quando colleghiamo ciò che sembra così lontano ed eterogeneo al nostro problema spesso troviamo una soluzione molto brillante. La ragione di ciò risiede nel fatto che tra le cose, le situazioni, le persone sembra esserci una trama sottile e nascosta che però si rivela all'autore più attento. 

Chi produce o assiste a spettacoli d'improvvisazione teatrale può comprendere meglio questo. Perché dalla eterogeneità degli spunti nascono storie e scene che portano a quelle idee essenziali ed efficaci che De Bono raccomanda. Siamo quindi oltre i limiti di un'arte che sia solo grottesca o bizzarra, quale magari tanto surrealismo può aver prodotto. E' chiaro che ciò è possibile nella misura in cui si accetta di giocare con gli altri nelle situazioni che vengono a crearsi e se ne ascoltano tutte le potenzialità da condurre con pazienza e voglia di scoprire, esplorare.  D'altronde nel pensiero laterale il gioco è il metodo migliore per facilitare l'intervento del caso: "giocare solo per giocare significa compiere un esperimento sul caso". Peccato che in tanti non giochino, che si vergognino addirittura di giocare. E' davvero un peccato vedere che spesso ragazze e ragazzi di 15-16 anni abbiano difficoltà a giocare, fatta eccezione per le play station. Purtroppo una serie di condizionamenti a questa età blocca tutta quella spontaneità che essi avevano in precedenza. Per fortuna, però, "è possibile trasformare persone prive di immaginazione in persone immaginative in un solo attimo" scrive Keith Jonhnstone in Impro (Dino Audino Editore) e come ha ben dimostrato nel trasformare degli uomini d'affari per gioco in dei perfetti hippies. Perciò con l'improvvisazione teatrale si può andare oltre la manicheistica suddivisione tra ideatori ed esecutori che De Bono fa nel decimo ed ultimo capitolo del suo libro sul pensiero laterale. Tutti possono essere ideatori, questo lo possiamo dire con certezza. E' impossibile che ciò non avvenga visto la stupefacente rete neuronale del nostro cervello. Ciascuno di noi ha delle capacità associative infinite come dimostra il pensiero radiale, di cui il mind mapping è una delle più straordinarie applicazioni. Per Tony Buzan, il papà delle mappe mentali, il nostro cervello è una Macchina di Associazioni che si Ramificano. D'altronde è sufficiente realizzare un buon brain storming per accorgersene. Se si capisce questo allora di fronte a un problema si riescono ad escogitare una serie di alternative per risolverlo, dopo averlo inquadrato. Se le alternative non ci sono allora non siamo neanche di fronte a un problema. Si può trattare di una condizione (il surriscaldamento della terra, il traffico a Roma, una malattia ecc.) , ad esempio, o di qualcos'altro, ma non di un problema. Oppure si può trattare di un falso problema e il far luce su di esso con il pensiero laterale aiuta a smascherarlo. L'importante, comunque, è che almeno qualche a problema ci sia e venga individuato perché questo dà la spinta giusta a molte situazioni stagnanti. Se, ad esempio, avessimo la più forte e bella squadra di calcio al mondo un bel giorno essa andrà di sicuro di fronte a delle sonore sconfitte, peraltro salutari, perché tenderà a cullarsi e a non prendere in esame i problemi del suo gioco. Se invece questi vengono individuati, ben definiti e affrontati via via con le alternative migliori la nostra squadra rimarrà sempre la migliore. Questo a patto che non ci si affidi all'onnipotenza della logica che spesso porta a soluzioni sbagliate per problemi mal posti. Il pensiero laterale per la sua natura rivolta alle alternative sfugge a simili inconvenienti. Il metodo verticale infatti altri non è se non la logica. Mentre il pensiero laterale è quello che ci guida verso nuove interpretazioni della realtà e verso idee nuove.  

La consequenzialità propria del pensiero verticale è però il più grosso ostacolo nell'ideare nuove soluzioni. E' infatti noto che le scoperte più rivoluzionarie sono arrivate da procedimenti non impeccabili come la scoperta della penicillina, ad esempio, o quella dello ioduro d'argento per la fotografia da parte di Daguerre. Il pensiero verticale presenta degli svantaggi a partire dal fatto che una volta giunto a un risultato non sente più il bisogno di pervenire a una via migliore e più diretta. Il secondo svantaggio consiste nel fatto che il pensiero verticale corre a tutta velocità verso la direzione più ovvia quando magari sarebbe meglio farsi un giro intorno con il pensiero laterale. Il terzo svantaggio del pensiero verticale sta nelle sue rigide definizioni su cui invece i lateralisti sono pronti a poggiarsi solo per quel che occorre per proseguire il cammino. Con questo non si vuol dire che si deve abbandonare e disprezzare la logica. 
"La differenza tra il metodo laterale e quello verticale sta nel fatto che, nel secondo caso la logica guida il pensiero, mentre nel primo, lo serve" 
scrive De Bono. Il guaio è che questa è una guida rigida, dittatoriale, uniformante. Molto meglio mettere da parte la logica ed utilizzarla quando è il suo turno, quando  cioè non ci occorrono alternative ma un rigoroso ragionamento. Capita spesso, infatti, che ci troviamo di fronte a presunte impostazioni obbligate del problema. Questo avviene a causa della rigidità delle classificazioni. Come sfuggire ad esse? Rispondiamo alla domanda con un piccolo racconto citato da De Bono: 
"Si racconta che durante la guerra il pilota di un bombardiere durante un suo volo di rientro alla base cominciò a un certo momento ad avere difficoltà nel controllo dell'apparecchio. Venne riscontrata una perdita nell'impianto idraulico, ma non c'era acqua di scorta per colmarla. Ebbene, se l'equipaggio si salvò fu perché, alla fine, a qualcuno venne l'idea di immettere urina nell'impianto".

venerdì 13 agosto 2010

Il sondaggio del mese

Oggi, venerdì 13 agosto, su questo blog lanciamo "il sondaggio del mese". Ogni 13 del mese troverete, infatti, su questo blog un sondaggio intorno al mondo  del problem solving. Inauguriamo questa iniziativa proprio partendo da un sondaggio su cosa pensate il problem solving sia. Nella colonna di destra trovate, subito sotto i feed, il sondaggio con le risposte multiple. Il sondaggio lanciato oggi è quindi: "Il problem solving è":

  • risolvere i problemi;
  • definire i problemi;
  • una tecnica informatica;
  • evitare i problemi;
  • un'attitudine innata;
  • una tecnica psicologica;
  • un solvente.
Sotto le risposte trovate il link per vedere i risultati di cui parleremo alla scadenza del voto e cioè l'11 settembre con un post. Coloro che non si accontentano di queste risposte predisposte possono dire la loro rispondendo a questa domanda attraverso il form di formspring. Con questa iniziativa vogliamo aprire un dialogo con ogni lettore, sapere cosa pensa, dargli la possibilità di contribuire con idee e soluzioni al dibattito attorno ai temi del management dei problemi di ogni natura. E ora non aspettare oltre, partecipa al sondaggio :)

giovedì 12 agosto 2010

Risolvere problemi come il mago di Oz


Oggi Google rende omaggio a Il mago di Oz, nel settantunesimo anniversario, di questa trasposizione cinematografica del 1939 del romanzo Il meraviglioso mago di Oz del 1900. Il film narra le vicende di Dorothy e dei suoi tre compagni di viaggio (un leone, uno spaventapasseri, un boscaiolo di latta) per riuscire a tornare a casa dopo che la ragazzina è stata scaraventata da un ciclone in Oz dalla sua casa in Kansas dove vivi con gli zii e il cane Toto. Il pensiero corre subito a un romanzo analogo precedente: Alice nel paese delle meraviglie (1865) e alle sue principali trasposizioni per il cinema: quella del 1951 della Disney e quella del 2010 di Tim Burton. Quest'ultimo romanzo ha sempre causato grossi problemi di traduzione perché pieno zeppo di allusioni, figure retoriche e proverbi. A ben vedere Il meraviglioso mago di Oz non è solo un libro di narrativa per ragazzi,  come molti intendono. Ma è una allegoria della politica monetaria degli Stati Uniti alla fine del 1800. Leggiamo, infatti, su Wikipedia: "Tra il 1880 ed il 1896, vi fu in una massiccia quanto imprevista deflazione, che causò un crollo drastico dei prezzi nell'economia americana (23% ca.). Poiché la maggior parte dei contadini dell'ovest del paese erano indebitati con le banche dell'est, quando i prezzi diminuirono, il valore reale dei debiti aumentò e le banche si arricchirono considerevolmente a spese dei contadini".

L'allegoria è una metafora continuata. Questa figura retorica adotta infatti un'immagine centrale ed attorno ad essa imbastisce una serie di analogie. Una delle più note allegorie è quella che Dante Alighieri nella Divina Commedia quando ricorre ad un leone come allegoria di superbia e violenza, ad una lupa come allegoria di avarizia e cupidigia, alla lonza come allegoria di lussuria. Come tutte le figure retoriche deriva dal greco e nella sua etimologia, leggiamo nel Dizionario di Retorica e stilistica della Utet, da una parte vuol dire far sapere e dall'altra partecipare. Se vogliamo è quindi la figura principe di comunicazione e narrativa. Nel Medioevo se ne fece grande uso perché divenne la trama stessa dell'arte. Pensiamo alla enorme produzioni di allegorie e simboli lungo tutto il periodo medievale tra cui citiamo, per esempio, i leoni stilofori ora simbolo del Vangelo di Marco, ora simbolo della lotta all'eresia. Non è un caso che Dario Fo abbia rinvenuto tutta una serie di allegorie non solo nelle giullarate e nelle storie medievali del suo repertorio ma anche nella sua lezione d'arte sul Duomo di Modena. Come non è un caso che le allegorie siano molto frequenti nel Roman de la Rose e nella Divina Commedia.

Dopo il Medioevo l'allegoria fu abbandonata e soltanto opere  come I viaggi di Gulliver (J. Swift) e Il paradiso perduto (J. Milton) la ripresero prima dell'eclissi totale durante Illuminismo e Romanticismo. Il Novecento l'ha riportata in auge se pensiamo a La fattoria degli animali (G. Orwell) e all'Ulisse (J. Joyce) e al romanzo di cui stiamo parlando, scritto da Lyman Frank Baum.

Abbiamo già sottolineato l'intimo nesso tra storie e problem solving nel post Lo zen e l'arte di narrare i problemi. Qui ricordo soltanto che laddove c'è un problema è possibile narrare una storia perché la storia è appunto il racconto di come abbiamo superato il problema (come ha fatto Cappuccetto Rosso ad uscire dalla pancia del lupo?). E laddove c'è una storia o ci sono più storie abbiamo a che fare con dei problemi (pensiamo alle peripezie di Ulisse). Ebbene Il Mago di Oz ci racconta di quattro problemi principali:
  1. come farà Dorothy a tornare a casa?
  2. Come farà lo spaventapasseri ad avere un cervello?
  3. Come farà il boscaiolo di latta ad avere un cuore?
  4. Come farà il leone codardo ad avere il coraggio?
A quasi tutti questi quesiti dà una riposta il mago di Oz.  Per riuscirci adotta tecniche e strategie del pensiero illusionistico, di cui ci siamo occupati in questo blog. Infatti per lo spaventapasseri e per il boscaiolo ricorre a dei simulacri: una melma di crusca e spilli nella testa come cervello allo spaventapasseri e un cuore di seta cremisi riempito di sabbia come cuore del boscaiolo di latta. Mentre per il leone ricorre all'effetto placebo dandogli da dare una pozione. Come abbiamo già affermato a proposito del pensiero illusionistico un prestigiatore (un mago) non rende l'impossibile possibile perché l'impossibile è per sua natura impossibile appunto. Ma rende il possibile impossibile mascherando quel che fa, giocandoci intorno, facendo distrarre lo spettatore ma soprattutto tradendo la sua logica verticale e quindi provocando la sua meraviglia per fatti per lui inspiegabili. Tutto quello che fa si spiega, invece, alla perfezione perché si basa su elementi che fanno parte di questo mondo fisico eppure i suoi effetti ci sembrano impossibili. E' questo il segreto da imitare nel pensare alternative al nostro problema.

L'allegoria è dunque uno dei principali strumenti della retorica nel racconto del nostro problema, quel problem telling, che è la fase successiva della definizione del problema (il problem setting) nel processo di problem solving. E' nella natura dell'allegoria il portare a conoscenza qualcosa e nel far partecipare gli altri, nel far loro condividere un'idea, un progetto, un bisogno, un problema, ecc. E' questa l'economia stessa dei social network che sono tali nella misura in cui fanno rete attorno a un tema, un interesse, un obbiettivo ecc. Nodi di questa rete sono quelle persone che cercano delle risorse o le mettono a disposizione degli altri gratis o sotto compenso o sotto forma di scambi alla pari. L'allegoria può essere allora la chiave di lettura che ci dà una visione diversa della realtà che spesso ci sembra o nera o indefinibile, che ci dà delle alternative spesso imprevedibili di fronte a un problema, che ci fornisce una serie di idee spesso strabilianti. Inoltre ci permette di raccontare il nostro problema divertendo e non annoiando gli altri. Infine con essa riusciamo a raccontare in modo indiretto le nostre posizioni evitando quegli scontri, quell'acrimonia, quelle incomprensioni che si creano con il racconto diretto.

Come raccontate voi il vostro problema? Avete mai usato una figura retorica per farlo?


domenica 8 agosto 2010

Tre lezioni di problem solving di Machiavelli

Il Sole 24 ore di oggi, Domenica 8 agosto 2010, procede con la sua carrellata di personaggi del passato a cui guardare per risollevare le sorti del presente. Domenica scorsa, 1 agosto 2010, ci siamo occupati di uno di essi: il capitano Achab del romanzo Moby Dick di Melville.  Questa volta segnalo Lo scienziato prestato alla politica, l'articolo di Gabriele Pedullà dedicato a Niccolò Machiavelli. Questo perché nell'articolo a pagina 12 dell'edizione cartacea de Il Sole 24 ore, sono ricordate tre piccole lezioni che questo uomo rinascimentale ci ha lasciato nelle sue opere. Sono tre lezioni che riguardano il giusto atteggiamento nei confronti dei problemi. Quindi, in questo blog sul problem solving (che è l'intero processo di definizione, racconto e soluzione del problema), non potevamo evitare di segnalarle.

  1. La prima lezione è che "le crisi giungono improvvise soltanto perché  non sappiamo riconoscere gli infiniti segni che le preannunciano". Pedullà riferisce come Il principe sia pieno di riferimenti al fatto che gli uomini riconoscono i problemi solo quando è troppo tardi. Pensiamo, per intenderci,  alle previsioni degli analisti finanziari  che non hanno riconosciuti i segni della crisi del 2009. Ma mi viene da pensare anche a quando in Abruzzo, durante l'ultimo terremoto, non si sono tenute in debito conto le scosse precedenti a quelle poi fatali che hanno distrutto il capoluogo e altri centri. Su questo si può leggere un post all'indomani del terremoto che riporta alcune testimonianze. Oppure pensiamo allo Tsunami del 26 dicembre 2004? Alcuni pescatori si salvarono perché videro che il mare si era ritirato.
  2. La seconda lezione introduce quindi la prudenza politica (e non solo) che "consiste precisamente nella capacità di leggere in anticipo gli indizi". E' come avere delle antenne sempre rizzate e pronte a cogliere il minimo segnale oppure dei sensori pronti a cogliere il minimo cambiamento. La chiave per non farsi sorprendere, infatti, è tutta nelle informazioni. E' questa una delle ragioni per cui lo spionaggio è tenuto in grande considerazione da stati e multinazionali. Chi è interessato al rapporto tra problem telling e politica può leggere un post in proposito.
  3. La terza lezione ci dice che non serve temporeggiare di fronte a un problema  senza mai affrontarlo. Questo la dice lunga sull'inutilità di palliativi e di piccolo correttivi. Il problema va, invece, affrontato alla radice. Intendiamoci, qualche volta serve temporeggiare quando per esempio hai forze inferiori al nemico e quindi è meglio ricorrere alla guerriglia piuttosto che alla guerra aperta. E' quel che successe con il dittatore romano Quinto Fabio Massimo Verrucoso, detto "il temporeggiatore". Fu accusato di codardia e fu deposto ma i romani andarono incontro a quella che fu una delle loro principali disfatte: la battaglia di Canne.

lunedì 2 agosto 2010

Il paese e il gioco delle fiabe

Che cosa fanno i problem teller in vacanza? Vanno alla ricerca di storie e fiabe. Magari vanno a Rocchetta Nervina, in Val Nervia (Liguria) per il Festival delle Fiabe che vi si tiene dal 15 al 20 agosto. Leggiamo infatti su Teatro.org:
Per tre giorni, tutto il paese è coinvolto nella preparazione e nella rappresentazione di una fiaba classica: da Alice nel Paese delle Meraviglie, a Peter Pan, a, come quest’anno la Bella e la Bestia. Un appuntamento tra gioco e cultura che ha finora ottenuto un ottimo successo di pubblico e che fa del paese un polo di attrazione nell’entroterra del ponente ligure. La fiaba di quest’anno, adattamento realizzato da Maria Grazia Tirasso della celebre storia scritta da Madame de Beaumont racconta di un giovane principe che vive in uno splendido castello e che una notte gelida si rifiuta di offrire rifugio a una vecchia mendicante. La donna è in realtà una fata, che non esita a vendicarsi trasformandolo in un orrido essere dal corpo umano e dal volto di un animale.
La fiaba è uno dei migliori strumenti per il problem solver. Non tanto per il suo fine moralistico che, a differenza delle favole, è anzi piuttosto ridotto. Ma piuttosto grazie al suo impiego di avvenimenti e personaggi fantastici come streghe, orchi, giganti, fate, animali inesistenti nutre la mente di direzioni e possibilità altrimenti impensabili. E' come lo zucchero (semplice) che nutre il cervello. Si pensi a Il vestito dell'imperatore dove solo un bambino riesce a smascherare l'inganno dei vestiti inesistenti o al lupo di Cappuccetto rosso che s'industria così bene per divorare la nonna e la sua nipote. Nel momento stesso in cui un'avventura, un pensiero, una decisione o un qualunque elemento narrativo viene pensato facciamo un viaggio nel mondo del pensiero laterale da un lato e in quello fantastico e illusionistico dall'altro. In tal modo non ci allontaniamo dalla realtà, tutt'altro: ne ampliamo lo spettro e pensiamo l'impossibile. Il tutto con gioco, con diletto, con divertimento che moltiplicano le nostre capacità di apprendimento: non solo quelle dei bambini. Ecco perché chiudo questo post consigliandovi il giocafiabe: un sito web dove potete leggere tante fiabe, molte delle quali sono state inventate dagli utenti stessi. Che aspettate? Inventate voi stessi la vostra fiaba: vi divertirete ancora di più e non è così difficile.

domenica 1 agosto 2010

Il Transatlantico e Moby Dick

Vincenzino Sifullo si svegliò nel modo in cui non avrebbe mai voluto. L'odore salmastro, come di alghe e onda morta di mare, gli carezzò le narici e poi si fece penetrante. Riaprì gli occhi dall'assopimento che lo aveva preso, tra la notte e l'alba, dentro al gippone dei Carabinieri di guardia. Era, come al solito, all'angolo di piazza Montecitorio. E la barca era là, alta con i pennoni e le vele, un poco piegata su un fianco. Grondava di acqua e di alghe, e di piccoli pesci, che finivano sul selciato. Al centro della piazza del Parlamento italiano che lui e colleghi avrebbero dovuto sorvegliare.
A scendere dalla nave Pequod per essere ospitato nel Transatlatico, il parlamento italiano, è il mitico capitano Achab (nella foto in alto a sinistra interpreteato dall'attore Gregory Peck) del romanzo Moby Dick, a cui oggi l'edizione cartacea de Il Sole 24 ore ricorre nella sua galleria di personaggi del passato per risollevare le sorti del presente. L'idea è così presentata dalla redazione del quotidiano:
«Lezioni dalla storia: il personaggio che potrebbe aiutarci a ripartire» vedrà impegnate ogni giorno sulle pagine del quotidiano le firme più autorevoli del giornale che racconteranno un personaggio da loro scelto, del passato o del recente presente, che a loro parere in situazioni complesse è stato in grado di trovare la via d'uscita.
In questo caso con Achab abbiamo un personaggio biblico utilizzato nella letteratura da Herman Melville. Si tratta non solo di un ricorso alle lezioni della storia ma di un esempio di impiego dello storytelling per raccontare le vicende del presente, non in modo diretto ma in un modo indiretto, riflesso come Italo Calvino sapeva ben fare e che spiego nelle Lezioni Americane. Parlando della leggerezza scrisse infatti che il suo modo di fare letteratura era un po' come Perseo che per uccidere la Medusa non la guarda negli occhi perché altrimenti ne sarebbe rimasto pietrificato. Allora ne guarda l'immagine riflessa sullo scudo e solo così riesce ad infilzarla senza rimanerne ucciso. Solo che nel racconto di Davide Rondoni pubblicato su Il Sole 24 ore di oggi abbiamo una voluta confusione di livelli: il capitano Achab viene ospitato proprio in seno a quel parlamento che si vorrebbe cambiare. Il finale non ve lo rivelo, ma la metafora ben si presta al racconto di una realtà istituzionale altrimenti assai meno avvincente. Ed è una metafora che circola sin dai primi anni di affermazione del più grande partito di centro in Italia che ha dominato la scena politica per 50 anni: la democrazia cristiana chiamata appunto "balena bianca". Oggi quel cetaceo sulla scena politica è stato spazzato via da Tangentopoli ma sono in tanti a volerne il ritorno. Ma ci sono anche tanti Achab che la inseguono per una volontà di onnipotenza. E in tanti vogliono salire su quella nave: sacerdoti, personaggi misteriosi, ufficiali ecc. E' il regno dell'avventura.

Ho voluto segnalarvi quest'iniziativa de Il Sole 24 ore perché come abbiamo già detto è un bell'esempio di storytelling e perché cerca di raccontarci una serie di problemi in una forma dilettevole come quella della letteratura o del racconto della biografia di personaggi storici. Il Problem Telling, oggetto di questo blog, è in gran parte, infatti, un 'operazione di questo tipo. Tornerò sull'argomento con successivi post.

venerdì 30 luglio 2010

Gioco e problem solving nel cinema di Méliès

A Parigi gli spettatori del primo film mostrato in europa, l'arrivo di un treno in una locale stazione, erano rimasti ancora con gli occhi sbarrati e la bocca aperta per lo stupore, quando uno di essi si avvicina, si presenta come prestigiatore e chiede se può acquistare un apparecchio come quello che ha visto per proiettare le immagini. La risposta dei due fratelli che avevano organizzato la proiezione è secca: no, questo è un apparecchio che non è destinato al gioco, al teatro, ma alla scienza. Era il 1895. I due fratelli erano Louis e Auguste Lumière e il prestigiatore era Georges Méliès. Prosegue con questo post una riflessione sul rapporto tra la magia, il teatro e il cinema da una parte e il problem solving dall'altra iniziata ieri con il post Risolvere e creare problemi con la magia e con il teatro.

Georges Méliès può essere considerato il padre del cinema. Prima di lui, infatti, i fratelli Lumière erano fermi ai documentari. Non solo: non avevano capito il reale valore di quello che stavano facendo perché pensavano che la loro invenzione era destinata solo ad ambiti scientifici. Quando, infatti, nel 1895 l'illusionista prestigiatore Méliès chiese di comprare l'apparecchio da loro usato questi si rifiutarono di venderglielo asserendo che esso aveva a che fare con la scienza, non con il gioco o il teatro. Per nulla scoraggiato Méliès, si fece costruire una macchina da presa rudimentale da un ingegnere e diede inizio ad una straordinaria carriera di regista che durò fino al 1913. In tutti questi anni realizzò nel suo teatro di posa qualcosa come 1.500 film (in gran parte andati distrutti) in cui spiccano diversi capolavori. Tra questi Viaggio nella luna, da cui è tratta la celebre immagine in alto a sinistra che riproduce il razzo usato dai cosmonauti per andare sulla luna che va a conficcarsi in uno dei due occhi del volto della luna.

Il cinema di Méliès si può considerare come "il teatro dell'impossibile" perché sovverte le leggi della fisica, la logica e la quotidianità. In quasi tutta la sua filmografia, infatti, è alle prese con una serie di illusioni che scandagliano l'impossibile. Non è un caso se uono dei suoi maggiori capolavori si intitola proprio Viaggio attraverso l'impossibile. Qui Méliès compie un viaggio in cielo, sul sole e nelle profondità marine. Del resto l'impossibile era il suo mestiere prima di approdare al cinema visto che era uno dei migliori prestigiatori al mondo, tanto da aver ereditato il teatro del grande Houdini. Davanti ai suoi cortometraggi gli spettatori restavano a bocca aperta, come inebetiti chiedendosi "ma come ha fatto"? Si veda ad esempio Le Magicién del 1898.



Oggi questo genere di film non ha lo stesso effetto che aveva sugli spettatori a lui contemporanei nei quali, invece, suscitava meraviglia e stupore. Per riuscirci faceva ricorso a tutto il repertorio delle
tecniche illusionistiche, che conosceva alla perfezione: apparizioni, sparizioni, ombre e proiezioni, simulacri. Quando, infatti, volle comprare l'apparecchio dei Lumière non sapeva bene che farsene, ma ben presto non appena ebbe la tecnologia che gli occorreva tra le mani vi traspose tutta la sua sapienza di prestigiatore. Una delle prime realizzazioni fu infatti Escamotage d'une dame chez Robert-Houdin in cui appare lui stesso che fa scomparire una donna. Il cinema gli deve essere apparso come una grande opportunità per ampliare le possibilità dei suoi trucchi, delle sue illusioni. E vi si immerge con tanto entusiasmo. Per lui questa nuova invenzione non è una esclusiva degli ambiti scientifici, come avrebbero voluto i Lumière, ma un bellissimo giocattolo. I suoi film sono infatti modulati secondo gli stilemi della farsa, pieni di umorismo e di personaggi, come i diavoli, i maghi e i pierrot che provengono da tutta la carica vitale della commedia dell'arte. Si guardi, ad esempio, Lune à un metr del 1898.




Questo sguardo agli albori del cinema ci permette alcune riflessioni, anzi delle vere e proprie lezioni. Partiamo dal gioco: per Méliès, come abbiamo visto, il cinema è
un grande gioco, quasi fanciullesco, immaginifico in cui si bada al divertimento e non all'educazione morale come invece farà altro cinema a lui contemporaneo. E' questa la prima grande lezione perché questo grande regista si diverte a scoprire tutte le possibilità che le nascenti tecnologie cinematografiche danno allo spettacolo. E nei suoi film tutto è diletto, divertimento. Non ha potuto lavorare con grandi attori ma lui stesso è disinvolto e si muove con grande destrezza come anche alcune maschere che utilizza, votate al gioco e agli scherzi e ai lazzi come i maghi e i diavoli. In questo non sminuisce le possibilità artistiche del cinema ma le amplifica. Perché tutti si divertono: lui, gli attori, la troupe, gli spettatori. E questa è una magnifica possibilità di esplorazione in ogni direzione: verso i problemi, le possibilità, ecc. Ed è il vero grimaldello per affrontare la complessità. Il gioco, infatti, è un riduttore di complessità. "Il gioco mette in moto tutte le forme di pensiero, il pensiero verticale e quello laterale, la razionalità e l'emotività, il pensare e l'agire. (...) Il gioco può servire ad analizzare la situazione con occhi diversi, a vedere problemi che altrimenti non erano evidenti" scrive Umberto Santucci in Fai luce sulla chiave (L'airone).

Chi sono i più abili nell'utilizzare il gioco? I bambini, è naturale. E' davvero una risorsa potentissima perché grazie ad esso possono risolvere situazioni che altrimenti ristagnerebbero. Si legga la novella Il pellegrino Alì Cogia e il mercante astuto ne Le mille e una notte. Essa narra di un ricco mercante di stoffe, Alì Cogia, che parte per il pellegrinaggio a La Mecca. Prima di partire nasconde delle monete d'oro in un vaso con delle olive in superficie, lo sigilla e lo affida a un amico mercante, chiedendogli di custodirlo. Quest'ultimo vedendo, dopo anni, che il ricco mercante non faceva ritorno dal suo viaggio aprì il vaso e vi trovò le monete d'oro. Per ogni evenienza gettò via le olive ormai marcite, ne comprò di nuove e chiuse di nuovo il vaso. Poco dopo Alì tornò e si fece ridare il vaso. Non trovandovi più le monete d'oro si rivolse al giudice per ottenere giustizia ma quest'ultimo ascolta le due versioni (quella del ricco mercante e quella del mercante astuto) e pensa che Alì vuol approfittarsi dell'altro mercante e così rigetta le sue accuse. Per nulla vinto da questo giudizio allora si rivolge al califfo Harùn ar-Rashìd. Questi aveva l'abitudine di travestirsi e di passeggiare per le vie della città. Così facendo vede in un cortile dei bambini che giocano alla messinscena del processo di Alì contro il mercante astuto. Il giudice bambino chiede che gli venga portato il vaso e chiede ad altri bambini, sedicenti esperti di olive, se quelle olive che vi si trovano dentro sono recenti oppure vecchie di anni. Il responso è che sono molto recenti. Così il giudice bambino avvalla le accuse di Alì Cogia e condanna il custode del vaso, reo di essersi impossessato delle monete d'oro ivi contenute. L'indomani il califfo fa chiamare questo bambino e fa giudicare allo stesso modo il caso.

E allora mi sembra il caso che ci facciamo qualche domanda. Giochi mai? Ti sei mai reso conto delle potenzialità del gioco? Hai mai provato a risolvere dei problemi giocando? Quali giochi hai utilizzato? Se vuoi rispondi nei commenti.

Delle altre lezioni ci occuperemo in post successivi, ad ogni giorno la sua pena ;-)

Chi vuole saperne di più su Georges Méliès può divertirsi a navigare questa mini-mappa qui di seguito.


giovedì 29 luglio 2010

Risolvere e creare problemi con la magia e con il teatro

La costruzione di scenari, propri dell'arte delle illusioni e della scena, porta a cambiare il modo di rappresentare un problema. Quest'ultimo può assumere significati diversi, impensati. E' questa la lezione della grammatica dell'illusione che Matteo Rampin presenta in Pensare come un mago (Ponte alle grazie, Milano, 2006). Definendo l'effetto illusionistico come "un cambiamento apparentemente impossibile" ci dice che l'impossibile è possibile quando viene pensato. E in questo gli illusionisti, i cui modi di pensare Rampin ricostruisce, sono maestri. Imitandoli diventa allora possibile dare delle risposte a delle domande che altrimenti ne resterebbero prive. E' ciò che è accaduto, per esempio, con l'introduzione del vaccino che risponde al principio illusionistico della pars pro toto che rientra nella figura retorica della sineddoche. Quest'ultima è alla base del teatro: "la sostituzione sineddochica di una parte per il tutto è essenziale ad ogni livello della rappresentazione drammatica" scrive Keir Elan in Semiotica del teatro (Universale Paperbacks Il Mulino, Bologna, 1988, p. 35). Numerose ne sono le applicazioni sia nella scenografia sia nelle azioni degli attori, per forza di cose ridotte, a cui le menti degli spettatori attribuiscono particolari significati. Qualcosa di simile avviene anche nel cinema dove per esempio uno sparuto gruppo di persone può simulare un'intera folla. Quindi questo utilizzo di una parte per il tutto crea nella mente di attori e spettatori una diversa prospettiva della realtà che è spesso la leva giusta che ci serve per risolvere questo o quel problema. Questo avviene perché una mente che sa usare il pensiero illusionistico ma anche il pensiero laterale non accetta in modo passivo le premesse che gli vengono poste. Rampin cita in proposito l'episodio dei Vangeli sinottici in cui i dottori della legge chiedono a Gesù se sia lecito lapidare un'adultera in giorno di sabato. Se avesse risposto di sì avrebbe disubbidito ai Romani alla cui esclusiva giurisdizione spettava la pena capitale. Se avesse risposto di no avrebbe disubbidito alle leggi ebraiche. Perciò costruisce un'altra premessa chiedendo a chi fosse senza peccato di scagliare la prima pietra.


Qualcosa di analogo fa anche James Tiberius Kirk, capitano dell'Enterprise nella saga di Star Trek. La simulazione d'esame dell'accademia che lo consacrerà ufficiale è costruita in modo che nessuno possa superarla. Kirk in segreto, invece, altera il software della simulazione e perciò riesce a superare l'esame. Modifica quindi la realtà del problema che ha di fronte. In modo non diverso da Teseo quando utilizza il filo di Arianna per uscire dal labirinto dentro cui aveva ucciso il Minotauro. Se vogliamo quelli di Kirk e di Teseo sono dei trucchi, degli stratagemmi per uscir fuori da situazioni difficili. Pensata l'alternativa si trova anche il modo per realizzarla che, a questo punto, diventa la parte meno difficile del processo di problem solving. Il vero potere di un mago o di un attore sta nella sua mente, nella sua capacità di trovare rapidamente delle alternative. Nel teatro di prosa si ha anche diverso tempo per pensarci. Il drammaturgo che scrive il copione ha tutto il tempo che vuole, così come un giallista o un enigmista o uno sceneggiatore. Negli spettacoli d'improvvisazione teatrale non si ha niente a disposizione se non se stessi in una determinata situazione. Si usano solo quei pochi elementi di cui si dispone facendo leva sull'attribuzione di significati, caratteristica questa che gli attori hanno in comune soprattutto con gli illusionisti e i bambini: ecco una delle ragioni perché nell'improvvisazione teatrale è così necessaria la spontaneità. Grazie ad essa ci si libera dai pregiudizi e dagli stereotipi che altrimenti non ci fanno neanche vedere le possibilità che abbiamo di fronte.


Spesso va messa da parte persino la propria educazione. Keith Johnstone, uno dei padri dell'improvvisazione teatrale, è perentorio su questo: "creare qualcosa significa andare contro la propria educazione" (Impro, Dino Audino Editore, Roma, 2004, p. 71). L'educazione, infatti, spesso non è altro che il ripetere determinati comportamenti di fronte alle varie situazioni. Ma il ripetere una certa mossa è per lo più garanzia di insuccesso specie quando non si capisce ciò che si sta fronteggiando. Ad un comico può succedere, ad esempio, che le battute che hanno fatto ridere un pubblico non facciano ridere un altro pubblico. Nel caso è spacciato a meno ché non riveli delle buone doti di improvvisatore come Robin Williams che nelle sue stand up comedy mischia battute pronte e battute a braccio. Perciò Robin Williams riesce ogni volta a sorprendere il pubblico, come sa fare anche un buon prestigiatore, quand'anche presenti dei numeri classici di prestidigitazione. Perché il suo vero potere non è tanto nelle tecniche e nella destrezza ma nella sua mente, nel pensiero, nella sua capacità di costruire quelle alternative che un tipo di pensiero logico, verticale non sa e non può trovare. "I problemi in quanto costruzioni mentali, esistono solo rispetto alla mente di qualcuno" scrive Rampin (p. 95). E' quindi la nostra mente il terreno di caccia del problem solver, alla ricerca di quei meccanismi mentali, pregiudizi, bias e di ogni altra difficoltà che ci porta davanti all'autoinganno che è il problema. E ci si può riuscire se si fa un lavoro di tipo semantico, cioè nella produzione di significati alternativi.


Com'è possibile, quindi, generare questi cambiamenti? Al capitolo 1 Rampin dice: "conviene pensare non a come trasformare l'impossibile in possibile, ma a come trasformare il possibile in impossibile (ossia rendere impossibile agli altri la comprensione delle cose" (p. 40) che è poi ciò che fa il prestigiatore che deve lavorare sempre su due logiche: quella dello spettatore, che è la logica verticale, e quella propria, interna, dietro le quinte che fa diventare appunto il possibile (i movimenti, i gesti, gli accorgimenti, ecc.) impossibile.