giovedì 12 agosto 2010

Risolvere problemi come il mago di Oz


Oggi Google rende omaggio a Il mago di Oz, nel settantunesimo anniversario, di questa trasposizione cinematografica del 1939 del romanzo Il meraviglioso mago di Oz del 1900. Il film narra le vicende di Dorothy e dei suoi tre compagni di viaggio (un leone, uno spaventapasseri, un boscaiolo di latta) per riuscire a tornare a casa dopo che la ragazzina è stata scaraventata da un ciclone in Oz dalla sua casa in Kansas dove vivi con gli zii e il cane Toto. Il pensiero corre subito a un romanzo analogo precedente: Alice nel paese delle meraviglie (1865) e alle sue principali trasposizioni per il cinema: quella del 1951 della Disney e quella del 2010 di Tim Burton. Quest'ultimo romanzo ha sempre causato grossi problemi di traduzione perché pieno zeppo di allusioni, figure retoriche e proverbi. A ben vedere Il meraviglioso mago di Oz non è solo un libro di narrativa per ragazzi,  come molti intendono. Ma è una allegoria della politica monetaria degli Stati Uniti alla fine del 1800. Leggiamo, infatti, su Wikipedia: "Tra il 1880 ed il 1896, vi fu in una massiccia quanto imprevista deflazione, che causò un crollo drastico dei prezzi nell'economia americana (23% ca.). Poiché la maggior parte dei contadini dell'ovest del paese erano indebitati con le banche dell'est, quando i prezzi diminuirono, il valore reale dei debiti aumentò e le banche si arricchirono considerevolmente a spese dei contadini".

L'allegoria è una metafora continuata. Questa figura retorica adotta infatti un'immagine centrale ed attorno ad essa imbastisce una serie di analogie. Una delle più note allegorie è quella che Dante Alighieri nella Divina Commedia quando ricorre ad un leone come allegoria di superbia e violenza, ad una lupa come allegoria di avarizia e cupidigia, alla lonza come allegoria di lussuria. Come tutte le figure retoriche deriva dal greco e nella sua etimologia, leggiamo nel Dizionario di Retorica e stilistica della Utet, da una parte vuol dire far sapere e dall'altra partecipare. Se vogliamo è quindi la figura principe di comunicazione e narrativa. Nel Medioevo se ne fece grande uso perché divenne la trama stessa dell'arte. Pensiamo alla enorme produzioni di allegorie e simboli lungo tutto il periodo medievale tra cui citiamo, per esempio, i leoni stilofori ora simbolo del Vangelo di Marco, ora simbolo della lotta all'eresia. Non è un caso che Dario Fo abbia rinvenuto tutta una serie di allegorie non solo nelle giullarate e nelle storie medievali del suo repertorio ma anche nella sua lezione d'arte sul Duomo di Modena. Come non è un caso che le allegorie siano molto frequenti nel Roman de la Rose e nella Divina Commedia.

Dopo il Medioevo l'allegoria fu abbandonata e soltanto opere  come I viaggi di Gulliver (J. Swift) e Il paradiso perduto (J. Milton) la ripresero prima dell'eclissi totale durante Illuminismo e Romanticismo. Il Novecento l'ha riportata in auge se pensiamo a La fattoria degli animali (G. Orwell) e all'Ulisse (J. Joyce) e al romanzo di cui stiamo parlando, scritto da Lyman Frank Baum.

Abbiamo già sottolineato l'intimo nesso tra storie e problem solving nel post Lo zen e l'arte di narrare i problemi. Qui ricordo soltanto che laddove c'è un problema è possibile narrare una storia perché la storia è appunto il racconto di come abbiamo superato il problema (come ha fatto Cappuccetto Rosso ad uscire dalla pancia del lupo?). E laddove c'è una storia o ci sono più storie abbiamo a che fare con dei problemi (pensiamo alle peripezie di Ulisse). Ebbene Il Mago di Oz ci racconta di quattro problemi principali:
  1. come farà Dorothy a tornare a casa?
  2. Come farà lo spaventapasseri ad avere un cervello?
  3. Come farà il boscaiolo di latta ad avere un cuore?
  4. Come farà il leone codardo ad avere il coraggio?
A quasi tutti questi quesiti dà una riposta il mago di Oz.  Per riuscirci adotta tecniche e strategie del pensiero illusionistico, di cui ci siamo occupati in questo blog. Infatti per lo spaventapasseri e per il boscaiolo ricorre a dei simulacri: una melma di crusca e spilli nella testa come cervello allo spaventapasseri e un cuore di seta cremisi riempito di sabbia come cuore del boscaiolo di latta. Mentre per il leone ricorre all'effetto placebo dandogli da dare una pozione. Come abbiamo già affermato a proposito del pensiero illusionistico un prestigiatore (un mago) non rende l'impossibile possibile perché l'impossibile è per sua natura impossibile appunto. Ma rende il possibile impossibile mascherando quel che fa, giocandoci intorno, facendo distrarre lo spettatore ma soprattutto tradendo la sua logica verticale e quindi provocando la sua meraviglia per fatti per lui inspiegabili. Tutto quello che fa si spiega, invece, alla perfezione perché si basa su elementi che fanno parte di questo mondo fisico eppure i suoi effetti ci sembrano impossibili. E' questo il segreto da imitare nel pensare alternative al nostro problema.

L'allegoria è dunque uno dei principali strumenti della retorica nel racconto del nostro problema, quel problem telling, che è la fase successiva della definizione del problema (il problem setting) nel processo di problem solving. E' nella natura dell'allegoria il portare a conoscenza qualcosa e nel far partecipare gli altri, nel far loro condividere un'idea, un progetto, un bisogno, un problema, ecc. E' questa l'economia stessa dei social network che sono tali nella misura in cui fanno rete attorno a un tema, un interesse, un obbiettivo ecc. Nodi di questa rete sono quelle persone che cercano delle risorse o le mettono a disposizione degli altri gratis o sotto compenso o sotto forma di scambi alla pari. L'allegoria può essere allora la chiave di lettura che ci dà una visione diversa della realtà che spesso ci sembra o nera o indefinibile, che ci dà delle alternative spesso imprevedibili di fronte a un problema, che ci fornisce una serie di idee spesso strabilianti. Inoltre ci permette di raccontare il nostro problema divertendo e non annoiando gli altri. Infine con essa riusciamo a raccontare in modo indiretto le nostre posizioni evitando quegli scontri, quell'acrimonia, quelle incomprensioni che si creano con il racconto diretto.

Come raccontate voi il vostro problema? Avete mai usato una figura retorica per farlo?


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