giovedì 15 luglio 2010

Capire il Problem Telling in cinque mosse

I visitatori del sito web problemtelling.com, di questo blog e gli iscritti al gruppo su Facebook hanno iniziato a far conoscenza di questo fantomatico "problem telling" che come si può leggere dalla sua definizione si può definire come l'arte di trasformare i problemi in narrazioni, in storie e che promette quindi un approccio ludico e narrativo ai problemi. Oggi voglio illustrarne cinque diverse coppie di aspetti, delle antinomie che però nel nostro caso sono tutte apparenti e che servono come breve presentazione di questa che è un po' un'arte e un po' una disciplina nel novero del problem solving. La tecnica che ho utilizzato è quella inventata da Dan Roam e illustrata nel suo libro The back of the napkin. Solving problems and selling ideas with pictures (Marshall Cavendish). E' una potente tecnica per sviluppare l'immaginazione che l'autore chiama "S.Q.V.I .D" e che si basa su cinque antinomie: semplice-elaborato; qualità-quantità; visione-esecuzione; individuo-paragone; cambiamento-status quo. In essa si utilizzano dei disegni fatti a mano molto elementari sui quali vi chiedo di non giudicarmi da un punto di vista artistico ;-)

La prima illustrazione ci consente di andare alle basi del problem telling che alla lettera è soltanto un problema (o qualcosa di simile) da raccontare. Niente di più e niente di meno. Il problem telling ti aiuta a farlo nel miglior modo possibile.
Raccontare un problema implica quindi almeno due primordiali aspetti: il problema da raccontare e a chi raccontarlo, il contesto se vogliamo. Inizia da queste iniziali distinzioni un percorso le cui fasi generali vedremo nella prossima illustrazione.


Affrontare un problema significa molto spesso sviluppare nuove idee su di esso, nuove soluzioni, immaginare aspetti che non si sarebbe sospettato all'inizio di pensare con l'aiuto del pensiero laterale di Edward De Bono o il pensiero illusionistico che Matteo Rampin spiega nel suo libro Pensare come un mago (Ponte alle grazie). Forse occorre anche modificare le premesse e arrivare quindi a fare qualcosa di insolito, imprevisto laddove all'inizio sembravano non esserci speranze.
Abbiamo però bisogno di un buon diagramma di Gantt per pianificare le fasi del nostro lavoro che, ridotte all'osso, sono:
Ma dov'è che vogliamo arrivare? Vogliamo farti saltare l'ostacolo (il problema) che ti sta davanti. E non occorre essere Sergej Bubka per fare questo genere di salti. Con il Problem Telling scoprirai che l'ostacolo stà lì davanti a te proprio per stimolarti a saltare e se non ci fosse sarebbe peggio perché rimarresti pigro a non sviluppare niente di nuovo, non cammineresti nemmeno. Se il tuo problema non è un ostacolo che puoi superare ma qualcosa di davvero insormontabile allora non è un problema, ma qualcos'altro di cui il problem solving non si occupa. Ma prima di dire questo stai sicuro che avrai a disposizione ogni strumento, ogni atteggiamento e soprattutto ogni tecnica mentale per fare un salto da campioni, perché il problema è in realtà qualcosa che sta nelle nostre menti.

Lo so che se devi affrontare i tuoi problemi e soprattutto raccontarli ti vengono i sudori freddi, la tua bocca non riesce più a darti la saliva e ti senti soffocare. Sei una facile preda delle tue emozioni ed è bene che avvenga questo perché in realtà le emozioni ti sono amiche ed è grazie ad esse che noi apprendiamo. Ci avevi mai pensato? L'apprendimento significativo ci insegna proprio questo: le emozioni non negative sono importanti se vuoi apprendere. Perciò dovrai imparare a conoscerle e a usarle. Come dovrai imparare a distinguere i problemi dagli obbiettivi, che non sono la stessa cosa, o dalle condizioni o premesse, che molto spesso non possiamo modificare.


Ricorrere al Problem Telling significa fare del proprio problema una caccia al tesoro la cui avventura più persone possibili vogliono vivere. Non solo perché in ballo c'è un bel bottino da trovare ma anche perché si vive il problema come una storia in cui non si rimane comprimari ma si diventa protagonisti, un po' come se invece di rimanere in poltrona a scoprire pagina dopo pagina chi è l'assassino si entrasse nel giallo nelle vesti dell'investigatore. Problem Telling è allora sinonimo di avventura non solitaria, di condivisione di possibilità e di risorse. Siamo allora lontani anni luce dai venditori che ci chiamano a casa, che ci fermano per strada, che ci bombardano di pubblicità. Qui siamo invece sui territori di un marketing che si fa sociale, ben al di là del permission marketing di Seth Godin e ben al di là della condivione più o meno riuscita dei social network: qui si tratta di vivere un'avventura insieme, e che avventura visto che è la propria meravigliosa avventura!

Vuoi saperne di più? Eccoti alcune pssibilità:

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