mercoledì 18 novembre 2009

Il Problem Telling per la politica

Che differenza c'è tra l'agitare i problemi e il risolverli? In che modo la politica può essere davvero uno strumento per risolvere i problemi? Questo post cerca una risposta a queste due domande e vuole dare un'indicazione ai politici e a chi aspira ad essere eletto. Vuole dare un suggerimento soprattutto al prossimo candidato alla presidenza del consiglio: definisca bene i problemi e poi impari a trasformarli in narrazioni interessanti, in storie insomma.

Politici e ideologi sono maestri nell'agitare problemi generici e astratti, buoni per tutte le circostan­ze. E la ragione di ciò dipende dal fatto che agitare un problema serve a impedire una discussione. E colo­ro che utilizzano la politica per tornaconti personali e interesse di lobby si comportano in questo modo, violando peraltro le regole della democrazia. Questi usano i problemi in modo “politico”, in­teso nella sua accezione più degradata, politicante. Vengono usati in questo senso la disoccupazione, l'immigrazione, il testamento biologico, ecc. Sull'altro versante c'è invece l'uso della politica per risolvere i problemi. E in questa ottica il problema viene ben definito, inqua­drato e suddiviso in una serie di problemi minori. Il proble­ma della disoccupazione implica di determinarne gli ambiti alla sfera politica, la sfera economica, la sfera fiscale, la sfera della formazione. E ancora delimitare le fasce di età, la tipologia (attesa del primo lavoro o perdita del lavoro), la zona (nord, centro, sud), il settore (industria, terziario, nuove tecnologie), e così via. La politica ha bisogno dei metodi e dell'ottica del problem solving, se vuole dare risultati ed è intesa come servizio. Ed ha gran bisogno del Problem Telling, al quale peraltro è affine. Pensiamo ad un candidato alle elezioni che oltre a scagliarsi contro questo o quel punto che non condivide degli avversari, racconta il suo programma in due-tre punti chiave, che sono il risultato dell'ascol­to attento delle vere esigenze dei cittadini (problem setting). Facciamo finta che nel suo programma ci sia la creazione di risorse, strumenti e migliori condizioni per lo sviluppo del turismo. Ora, questo candidato avrà bisogno di rac­contare in modo chiaro e interessante i problemi che ne derivano, sviluppandoli con giochi di immaginazione. Se, per esempio, davvero il turismo riesce a svilupparsi, dove ospitiamo le tante persone che arrivano se le nostre strutture ricettive non sono sufficienti? Come facciamo ad assicurare loro che tutti i luoghi da visitare siano accessibili visto che spesso o sono chiusi o non c'è personale? Problem setting e problem telling non risolvono i problemi, li scoprono, li definiscono, li “vendono”. Il setting rende un problema risolvibile, il telling lo rende interessante.

Il problem telling sconfina nello storytelling, grande strumento di potere. La narratologia è da tempo usata per l'organizzazione e il mantenimento del consenso. E' ovvio che i potenti la usino in modo verticistico e in modo da influenzare gli elettori, laddove ci siano libere elezioni, o i sudditi, laddove ci siano monarchie o teocrazie. Ma lo storytelling come rete di storie, dal basso, è usato anche da coloro che al potere si contrappongono, ne fanno oggetto di satira come Dario Fo, Luttazzi, ecc. C'è una guerra tra le due forme oggi amplificata dal Real Time Web. Il Problem Telling adotta lo storytelling ma è più organico al problem solving, è la soglia tra problema e storia, una soglia mobile, senza soluzioni di continuità. Come tale si deve occupare della produzione di storie, ne deve individuare le risorse, le modalità, ecc. Perciò il politico se vuole parlare al cuore della gente non in modo retorico ed artificioso deve imparare a inquadrare i problemi secondo un'ottica di problem solving e poi deve riuscire a raccontarli per farne delle storie condivise.

Photo credit:adrianobonc. La prima parte del post è stata scritta in collaborazione con Umberto Santucci.

giovedì 12 novembre 2009

Le tre opzioni a L'Aquila

Oggi Umberto Santucci, consulente e formatore di problem solving strategico, è tornato ad insegnare in Accademia a L'Aquila per la prima volta dopo il terremoto. Umberto ha già dedicato un bell'articolo alla situazione dell'Abruzzo e in particolare del suo capoluogo, già a due settimane dall'accaduto, nell'articolo L'Aquila, le mani sulla città ferita. Se n'è anche tanto discusso dal punto di vista del problem solving nel gruppo Problem Telling su Facebook. All'indomani del terremoto avevo promesso che avrei seguito gli aggiornamenti della situazione per imparare la grande lezione che questo disastroso evento (per colpa degli uomini) sta fornendo a tutti coloro che hanno voglia di apprenderla. Perciò ho chiesto a Umberto di mandarmi le sue impressioni a caldo dalla città. Eccole qui di seguito.
Oggi ho fatto la prima lezione del corso all'Accademia dell'Immagine dell'Aquila. E' la prima volta che torno all'Aquila dopo il sisma. Ho fatto un giro nel corso principale, una delle pochissime vie accessibili. Oltre alla grande impressione della città deserta, mi hanno colpito piccoli particolari che si notano in situazioni apparentemente "normali": una crepa, un cartello a pennarello, un pilastro tutto imbracato. Anche nella foto della sede dell'INPS sembra tutto a posto, ma manca un pezzo di balcone e qua e là i blocchi di marmo sono disconnessi.
Ora si prospettano tre possibilità:
1. farne un grande rudere abbandonando tutto e trasferendosi altrove;
2. dare tutto in mano a cosche politico/camorristiche che demoliscano il più possibile per ricostruire ispirandosi a Castel Volturno;
3. ripristinare il più possibile le facciate per recuperare il volto della città, e ricostruire bene all'interno, con criteri innovativi.
L'ipotesi 3 è la più auspicabile, la 2 è la più probabile, anche se gli amici aquilani mi hanno detto che il prefetto si sta dando da fare nel contro
llo dei subappalti.

Fin qui la nota di Umberto. Se vogliamo sono le tre opzioni fondamentali per qualsiasi edificio nella città dell'aquila. E credo che tutta la serie di case che il governo sta costruendo ex novo vadano nell'ottica del primo punto perché comunque si tratta di edifici di nuova urbanizzazione. E' vero che costruire nuove case costa meno che ristrutturare le esistenti ma questo significa far dei centri abitati terremotati dei centri fantasma. Oppure delle grandi occasioni per le infiltrazioni mafiose per i cantieri della demolizione oltre che per quelli della costruzione. Ecco perché il terzo punto è il più auspicabile e il più conveniente, io credo. Il terremoto è stato un evento la cui possibilità non è stata presa in considerazione o trascurata pur essendo l'Abruzzo zona sismica e L'Aquila terreno che amplifica gli effetti dei terremoti. Abbiamo avuto una chiara dimostrazione che occorre prevenire gli eventi ponendoci dei problemi prima che accada l'inevitabile. Ora occorre prevenire un altro disastro socio-economico: il declino della città e della regione. Quali i problemi in campo? La parola ai commenti e a prossimi post in proposito.

martedì 3 novembre 2009

Lo zen e l'arte di narrare i problemi

Encho era un famoso cantastorie. I suoi racconti d'amore commuovevano chiunque li ascoltasse. Quando raccontava una storia di guerra, era come se gli ascoltatori si trovassero proprio sul campo di battaglia. Un giorno Encho incontrò Yamaoka Tesshu, un laico che aveva quasi raggiunto la totale padronanza dello Zen. «Ho sentito» disse Yamaoka «che tu sei il più bravo cantastorie del nostro paese e fai piangere e ridere la gente a tuo piacimento. Raccontami la mia storia preferita, quella del Bambino Pesca. Quando ero piccolo dormivo accanto a mia madre, e spesso lei mi raccontava quella favola. A metà del racconto mi addormentavo. Dimmela come me la diceva mia madre».

Encho non osò affrontare subito questa prova. Chiese un po' di tempo per studiare. Dopo parecchi mesi andò da Yamaoka e disse: «Ti prego, dammi la possibilità di raccontarti la favola».

«Un altro giorno» rispose Yamaoka.

Encho restò molto deluso. Continuò a studiare e provò di nuovo. Yamaoka lo rimandò indietro molte volte. Quando Encho cominciava a parlare, Yamaoka lo interrompeva dicendo: «Non sei ancora come mia madre».

Encho impiegò cinque anni per riuscire a raccontare la favola a Yamaoka come gliel'aveva raccontata sua madre.

(Photo credit: k.Akagami)

Questa storia zen è tratta da fiordacqua e ci introduce il Problem Telling, che è l'arte di trasformare i problemi in narrazioni interessanti. Molti quando hanno un problema corrono a raccontarlo ai familiari o al vicino o agli amici. Altri riempiono la propria bacheca in Facebook per farlo. Altri ancora vanno in televisione a parlarne. Perché, si dice, quando c'è un problema non bisogna tenerselo dentro ma esprimerlo. Le possibilità odierne di raccontare i problemi sono davvero tante e passiamo molto tempo a farlo: metà del nostro tempo all'incirca è dedicato alla discussione di questo o quel problema sul lavoro, a casa, con gli amici. Questi ultimi a volte sono contenti di partecipare alla discussione di uno o più problemi ma molte altre volte o sono scocciati o non hanno tempo di discuterli. Ma il raccontare i problemi (più che l'ascoltarli) o l'agitarli è una delle attività preminenti dei mass media così come degli utenti dell'internet.

Ma davvero la prima cosa da fare quando ci capità un problema è raccontarlo? La risposta è si e no. Si perché questo ci aiuta a definirlo il problema, che è il primo grande passo da fare. No perché la maggior parte delle volte non sappiamo raccontarli i problemi, non sappiamo nemmeno bene cosa siano, li confondiamo con le condizioni o con gli obbiettivi o con falsi problemi e altro ancora. Possiamo allora raccontare i problemi a patto di imparare a raccontarli. E i talk show non aiutano in questo, come nemmeno, purtroppo, tante discussioni. Encho, pur essendo un cantastorie, uno storyteller professionista ha bisogno di studio, di tempo e di prove prima di riuscire a raccontare una storia nel modo semplice così come raccontava storie la madre di Yamaoka. Si badi bene che storia e problema sono due termini intercambiabili: ogni storia è un problema e ogni problema è una storia. Pensiamo a Romeo e Giulietta: senza il problema dell'opposizione delle rispettive famiglie al matrimonio dove sarebbe la storia? Il problem telling è l'arte che viene in soccorso all'inizio del nostro problema per definirlo e presentarlo a se stessi e agli altri (e sdrammatizzarlo). Ma ci aiuta soprattutto alla fine, quando il nostro problema, a questo punto reso interessante, va "venduto" a tutti coloro che devono mettere i soldi in un progetto, coloro che devono portarlo a termine, quelli che devono prendere una decisione in proposito. E qui il problem telling dà il meglio di sé fornendo prassi e strumenti per fare del nostro problema qualcosa di verosimile, seducente, convincente. Pensiamo a quanto bello, magnifico, seducente dovesse apparire l'enorme cavallo di legno lasciato da Ulisse sulla spiaggia. E' con esso che i greci risolsero il problema dell'assedio di Troia una volta per tutte.

(immagine: La processione del cavallo di Troia in un dipinto di Tiepolo)

mercoledì 21 ottobre 2009

Inaugurato "Soccorso Vitale"

Inaugurato "Soccorso Vitale", l'online event che si terrà da oggi fino al 31 ottobre.
Giovane mendicante
Oggi, 21 ottobre 2009, è iniziato "Soccorso Vitale". E' un evento online dedicato a chi vuole drizzare le antenne rispetto ai segnali provenienti dalla sua attività e da ciò che gli sta intorno e a chi invece è in mezzo alla bufera, alla tempesta o ci è molto vicino.
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martedì 20 ottobre 2009

Soccorso Vitale, il programma

Tutto pronto per "Soccorso Vitale", l'online event che vuole darti "risorse per i tuoi problemi", come recita lo spot.
Il 15 ottobre ho dato alcune anticipazioni sull'evento. Oggi voglio rivelare il programma delle 10 giornate.

  1. Mercoledì 21: lancio dell'iniziativa con un post generale su "Soccorso Vitale", i suoi contenuti, le motivazioni, gli scenari che può aprire.

  2. Giovedì 22: giornata dedicata al Problem Telling.

  3. Venerdì 23: si parlerà di improvvisazione teatrale.

  4. Sabato 24: è il momento delle mappe mentali e delle mappe concettuali.

  5. Domenica 25: iniziativa ludica.

  6. Lunedì 26: l'apprendimento significativo.

  7. Martedì 27: risorse per il knowledge management.

  8. Mercoledì 28 è invece dedicato al management degli eventi.

  9. Giovedì 29 è la giornata degli appassionati di teatro e cinema e dell'arte dell'attore.

  10. Venerdì 30: Giornata di bilancio dell'iniziativa e idee per il suo follow up.

  11. Sabato 31: Chat pubblica con Giuseppe Vitale dalle 15 alle 18.

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venerdì 10 aprile 2009

Domande sul problem telling: pubblicato un estratto.

Che cos'è un problema? Come si fa a definirlo? Che cos'è il problem telling? A queste e ad altre tre domande cerca di dare una risposta il documento "Probemi: raccontarli o risolverli?" pubblicato nel Magazine di problemtelling.com. Si tratta di un estratto di Il problem telling in 25 domande e altrettante risposte in corso di pubblicazione. Metto a disposizione questo estratto per chi voglia conoscere più da vicino il Problem Telling, l'arte di narrare i problemi irresistibili. Ma anche per contribuire alla discussione per meglio delinearne i confini, le modalità di operare, i contributi che quest'arte può dare nel management dei problemi. Chi vuole, infatti, può discuterne sia scrivendomi sia partecipando alle discussioni del gruppo "Problem Telling" in Facebook.

E' il tempo di Pasqua quello che stiamo vivendo. Anche per i non credenti sia un tempo di Rinascita, specie dopo i due recenti crolli che ci sono stati: il crollo finanziario internazionale e il terremoto in Abruzzo. E' sin troppo evidente il bisogno di ripensare al nostro stile di vita in termini di solidità di relazioni, di costruzione di edifici e di economia. Il Problem Telling è accanto a tutti coloro che hanno la voglia e il bisogno di cambiare vita.

martedì 7 aprile 2009

La gestione delle emergenze

Come si gestisce un'emergenza? Come si affrontano i problemi di un'emergenza come il terremoto in Abruzzo? Che cosa fa un problem solver e/o un problem teller in situazioni come queste? Mi pare che un paragrafo del libro di Umberto Santucci Fai luce sulla chiave sia molto chiaro a riguardo. Perciò lo riporto qui per intero.

"Spesso gli eventi precipitano in modo tale che non si ha il tempo di applicare una qualsiasi metodologia per definire e risolvere i problemi. Di fronte all'emergenza non c'è tempo per analizzare la situazione, e si corre subito ai ripari con azioni tampone.

Le decisioni spesso devono essere molto rapide, e non hanno lo scopo di valutare le alternative per scegliere la migliore, ma di imboccare subito una strada che porta fuori dalla crisi.

Spesso si va per tentativi, e si cerca di agire subito sugli effetti senza risalire alle cause, e non si può fare altrimenti. Se una persona è caduta nell'acqua e non sa nuotare, la prima cosa da fare è tirarla fuori. In un secondo momento si può cercare di capire perché è caduta nell'acqua, o si può perfino insegnarle a nuotare. E' importante ricordarsi di aver adottato un intervento tampone, e di procedere all'analisi della situazione e alla corretta definizione del problema.

In caso contrario l'emergenza si ripresenterà in modo sempre più grave, costringendoci ad un continuo tamponamento che rimanda la vera soluzione del problema.

Se l'emergenza si ripresenta puntualmente e diventa la normalità, ovviamente non è più un'emergenza, ma una nuova condizione in cui ci si viene a trovare. Dunque modi e tempi vanno riprogettati per adattarsi alla mutata situazione. Spesso ci si trova in difficoltà perché si reagisce nello stesso modo a situazioni che sono cambiate. Un esempio classico è il traffico. Nelle grandi città, ma ormai anche nei paesi, c'è ormai da più di 30 anni, quindi non è emergenza, è normalità. Ma noi continuiamo a pensare di muoverci come se il traffico non ci fosse o fosse diverso. Se c'è il traffico dobbiamo cambiare noi, magari andando più lenti (in bicicletta) per arrivare prima.

Oggi sempre più ci troviamo ad operare in sistemi complessi e turbolenti. Se dovessimo decidere ed agire solo quando possediamo tutte le informazioni necessarie resteremmo paralizzati. Tom Peters propone di agire velocemente a costo di sbagliare, e di diventare capaci di gestire e superare l'errore. E' il concetto di failure management, che Peters compendia in tre parole: fail, forward, fast. Sbaglia, vai avanti, fa presto.

Spesso chi opera nelle organizzazioni fa il contrario. Per paura di sbagliare non fa e non decide nulla. Ma così poi le cose diventano urgenti e spesso ingovernabili".

Credo che le parole di Umberto ci consentano alcune rapide e utili indicazioni:

1. ricordarsi che si sta tamponando una situazione e quindi tornare appena possibile a fare interventi definitivi e strutturali;
2.i terremoti in Italia non dovrebbero più essere considerati emergenze, ma normalità: quasi tutta l'Italia è a rischio sismico;
3.se le previsioni del ricercatore Gianpaolo Giuliani non sono attendibili al 100% bisognava comunque dargli ascolto, di fronte a certi fenomeni aspettare o no di avere tutte le informazioni può fare la differenza.

Da buon Problem Teller agli amici dell'Abruzzo e a tutti coloro che hanno a cuore la loro sorte prometto che tornerò sull'argomento. Lo dobbiamo fare per il bene di tutti. Per capire qualche volta. Per imparare ad ascoltare la natura: anche lo Tsunami poteva fare meno vittime in Asia se se ne fossero ascoltati i segni. Un problem solver e un problem teller hanno sempre tutte le antenne ben drizzate e stanno sempre in ascolto. Speriamo di non assistere ora alla solita storia noiosa degli aiuti e delle ricostruzioni che mancano quando si spengono i riflettori. Ma di assistere invece a tante buone storie (problemi) da raccontare.

Intanto qualche link per seguire da le ultime notizie dall'Abruzzo:

martedì 10 marzo 2009

Che cos'è il Problem Telling?

Il problem telling è l'arte di individuare, organizzare e narrare i problemi buoni e interessanti. E' la fase successiva al problem setting e riguarda la vendita del problema agli stakeholder e cioè a quelli che devono prendere delle decisioni o devono finanziare un determinato progetto. Si giova dei riduttori di complessità e dell'immaginazione sviluppata anche attraverso l'improvvisazione teatrale. Ha alla sua base l'apprendimento significativo.

Il problem telling è quindi un'arte e non una scienza. Come tutte le arti, quindi, si serve di una serie di strumenti per arrivare a compiere un' “opera”, un progetto. In questo caso il “manufatto” che ne possiamo ricavare non è solo la soluzione di questo o quel problema, ma è uno stile di vita. In questo nuovo stile di vita l'accento è posto sulla narrazione di problemi buoni e interessanti. Un venditore, ad esempio, grazie al problem telling può smettere di vendere questo o quel prodotto e può iniziare, con maggior profitto e soddisfazione, a chiedersi quali problemi dei suoi clienti vuole affrontare. Un pool di un progetto invece di tentare di vendere il progetto può raccontare uno o più problemi interessanti che vuole affrontare. In tante presentazioni di società ed organizzazioni, come ricorda
Umberto Santucci, si sottolineano con enfasi i risultati raggiunti che in realtà non interessano nessuno. Molto più interessante è per un potenziale cliente sapere quali problemi ha affrontato questa o quella impresa e cosa ha fatto per risolverli. E ancora più interessante è sapere quali problemi una determinata azienda o un'associazione o un'istituzione o un gruppo di persone vuole creare alle persone con cui entrerà in relazione. Pensiamo di procurarci un eccellente articolo e di metterlo in vendita nel nostro negozio. Immaginiamo che abbia tanto successo che le persone per procurarselo vogliano venire anche la domenica presso il nostro negozio. Se siamo soli nel negozio avremmo bisogno di personale per tenere aperto anche la domenica. Se troviamo una soluzione e assumiamo almeno una persona stiamo facendo problem telling. Se decidiamo di restare chiusi la domenica e cominciamo a pensare che il personale costa stiamo ricadendo nella noia e nel cattivo management.

Prima di fare problem telling è fondamentale definire bene il nostro problema e di questo si occupa il problem setting. Una volta definito possiamo affrontare la narrazione del nostro problema a chi dovrà decidere o metterci i soldi o ai clienti del nostro “problema”. Il consiglio è partire proprio da queste persone in questa fase. Fare buon problem telling significa anche apprendere in modo significativo e quindi essere aperti ai sentimenti, ai diritti, ai bisogni e alle aspirazioni degli esseri umani. E' su questi elementi che occorre far leva per comunicare il nostro bel problema. E' al cuore delle persone che occorre parlare e lo possiamo fare solo se siamo sinceri ma soprattutto ricchi di immaginazione, fantasia e interattività. Se partiamo dagli stimoli e dalla aspirazioni delle persone e diamo loro la possibilità di coltivarle stiamo facendo problem telling. Ci servono allora i giochi, le rappresentazioni, i linguaggi: teatrali, cinematografici, fotografici, pittorici, artistici. Fra tutte le attività ludiche una che può giovare molto al problem teller è l'improvvisazione teatrale, così come riformulata in Canada da Keith Johnstone. Si tratta, infatti, di un'improvvisazione non più concepita per preparare uno spettacolo ma che è essa stessa spettacolo.

lunedì 23 febbraio 2009

Gli artisti dei problemi

Il senso comune dice che un problema è una specie di disavventura, di sfortuna, di catastrofe quasi. Quando qualcuno dice che c'è un problema la prendiamo come qualcosa che non doveva esserci, tutto doveva filare liscio. Per il senso comune in pratica è qualcosa che va storto. E' come se stiamo infilando un cassetto nell'armadio e un chiodino o qualsiasi altra cosa ci impedisce di farlo. E' come se stiamo realizzando un vaso al tornio e il nostro vaso ne esce deforme. Eppure qualche volta sentiamo parlare dei problemi di chi ha tanto denaro, ad esempio, o di chi ha una vita felice in coppia: i problemi di quando le cose vanno bene. Ed in quest'altra occasione esclamiamo: vorrei averli io quei problemi! Qui entra in gioco un'altra accezione del problema come conseguenza di uno stato o di una condizione o di un'azione. Il problema cessa di diventare un blocco, qualcosa che ottura la pompa dell'acqua quando annaffiamo le piante e diventa qualcosa da tenersi o da affrontare, arrivati in una certa situazione. Se devo andare ad incassare una grossa somma di denaro il trasportarla con sicurezza sarà il mio problema che, però, a differenza di prima accetto volentieri.

Ma il problema è ancora di più. E' qualcosa di ancora più positivo. Quello che spesso vediamo di un problema è solo la punta dell'iceberg. Il problema è in realtà un'opportunità travestita, come dice Paul Hawken. Pensiamo, ad esempio, alle grandi crisi finanziarie come quella del 2008-2009 e come quelle del passato: la crisi petrolifera del 1973 ad esempio o la Grande Depressione del 1929. Queste crisi come altre ancora rappresentano un'opportunità perché consentono di abbandonare abitudini e meccanismi sbagliati e perversi e di fare delle scelte più mirate e adeguate ai tempi e alla situazione. “Il problema è qualcosa che prima o puoi può essere risolto” scrive Umberto Santucci. E ancora: “il problema è una struttura euristica che istruisce un processo di ricerca con lo scopo di arrivare ad una soluzione”. E quindi, fatto il problema, trovata la soluzione potremmo dire. Un vero problema è sempre qualcosa che contiene in sé la soluzione. Con Aristotele potremmo dire che il problema è la soluzione in potenza e la soluzione è il problema in atto. Ogni problema contiene dentro di sé la soluzione, come i blocchi di marmo per Michelangelo contenevano già la statua che lui tirava fuori, liberava. I problemi sono i nostri bei blocchi di marmo di Carrara che aspettano là davanti a noi che li trattiamo con la nostra arte. Siamo noi che affrontiamo i problemi i veri artisti di oggi!

martedì 3 febbraio 2009

Il decalogo dei problem teller

Cari schiavi d'Egitto, caro popolo eletto e chiamato alla liberazione, la vostra guida è stata sul monte della rivelazione ed ora è discesa in mezzo a voi che vi stavate già scolpendo falsi idoli. Un decalogo il dito del pensiero libero e della narrazione dei problemi irresistibili ha scritto sulla pietra ed ora ciascuno di noi lo scriva nel suo cuore e nella sua mente.

I. Io sono il tuo problema e ne avrai altri dopo di me. La vita è piena di problemi e risolto uno di loro ne sorgono molti altri. Avremo sempre problemi, non è una scoperta difficile da fare. Paul Hawken, padre del capitalismo naturale, la descrive in una sua pubblicazione.

II. Non nominare i problemi invano, ma chiama i problemi con il loro giusto nome. Non ti lamentare dei tuoi problemi. A volte lo facciamo per affettazione, con enfasi. Smettiamo di farlo avremo meno stress, una vera liberazione.

III. Ricordati di fare festa dopo un problema risolto, perché dopo ne avrai ancora altri. C'è sempre un tempo per gioire e un tempo per preoccuparsi. C'è il tempo della festa e il tempo del lavoro. Quindi lasciamoci andare alla gioia.

IV. Onora e ringrazia i tuoi problemi, perché sono loro che ti tengono in vita. Senza saresti perso. Spesso pensiamo che una vita senza problemi sia una vita invidiabile, una specie di paradiso da raggiungere a tutti i costi. Chi non ha mai vissuto in campagna per esempio pensa che vivendoci avrà raggiunto il suo karma, salvo poi scoprire che ci sono gli insetti, la pioggia che rende la terra fango...

V. Non uccidere la tua fantasia e i tuoi talenti. Sono loro a creare i tuoi problemi irresistibili, da condividere con gli altri. Ansia e depressione sono due grandi malattie del nostro tempo. Spesso sono causate dal fatto che non crediamo più in noi stessi magari per le tante delusioni della nostra vita. Ma spesso queste delusioni sono ingigantite dal fatto che ci rifiutiamo di vedere il lato positivo delle cose.

VI. Non creare problemi insani ma pensa sempre a problemi cristallini, trasparenti e belli. Più è bello il problema più saremo coinvolgenti e virali. E quindi sempre più persone lo vorranno condividere. La nostra gelateria ha la fila fuori perché tutti vogliono il nostro gelato? Ecco un bel problema irresistibile. Come creare problemi di questo genere? Problemtelling.com può aiutarti.

VII. Prendere spunto dagli altri e vedere come hanno affrontato i loro problemi è lecito. Quindi "ruba" i problemi degli altri.

VIII. Non crearti falsi problemi.

IX. Non desiderare altre donne oltre la tua... non basta quanti problemi lei ti crea? Non me ne vogliano le donne per questa provocazione, è chiaro che anche gli uomini creano tanti problemi noiosi ; - )

X. Non desiderare i problemi negativi degli altri, ma sii invidioso di quelli buoni e positivi.

mercoledì 28 gennaio 2009

I problemi e la stupidità

Fino a poco tempo fa pensavo che un problema fosse qualcosa che era andato storto nella mia vita, ma che non dipendesse da me. Quando qualcuno mi diceva che avevo tale e tal altro problema pensavo, dall'alto della mia arroganza, che questi non mi stesse capendo e non riuscisse ad apprezzare il mio operato. Solo tardi, nella mia vita, ho capito che i problemi sono connaturati alla nostra esistenza, ne costituiscono una sorta di segnalazione provvisoria notturna per un atterraggio di un aereo fuori dalle piste dell'aeroporto. Quindi dobbiamo ringraziare chi ha messo quella segnaletica e dobbiamo fidarci dei segnali luminosi, altrimenti usciremo fuori pista e andremo a sbattere. Faremmo un danno a noi stessi e agli altri, che è poi quello che fa lo stupido. La terza legge della stupidità dice, infatti: "Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita". Questo è il grande rischio di chi non sta attento a quei segnali di pericolo o di salvezza che sono i problemi. Questa legge fondamentale enunciata da Carlo Maria Cipolla nella sua Teoria sulla stupidità presuppone che gli esseri umani rientrino in una di quattro categorie fondamentali:

1. gli sprovveduti, che sono quelli che si fanno sfruttare e che quindi danno vantaggi agli altri ma danni a se stessi;
2. gli intelligenti: vantaggi a se stessi e agli altri;
3. i banditi: vantaggi a se stessi e danni agli altri;
4. gli stupidi: danni a se stessi e agli altri.

Chi non ascolta i problemi è sprovveduto e quindi ci rimette in proprio o è stupido e quindi non solo si fa male da solo o da sola ma provoca problemi negativi agli altri. Nella migliore delle ipotesi viene vista come una persona che perde tempo o che spreca risorse.

Per tornare a me, dirmi che avevo qualche problema equivaleva ad arrecarmi un'offesa. Proprio non volevo accettare di avere dei problemi. Per me "problema" era sinonimo di qualcosa di irrimediabile, di grave che io avevo e che non potevo rimuovere o modificare. Quando, poi, l'indicazione di qualche problema riguardava le mie aspirazioni artistiche allora pensavo che i miei interlocutori non mi stessero capendo e che se avessi fatto vedere il mio operato a qualche altra persona più colta ed illuminata mi avrebbe compreso. Sono andato avanti così per tantissimo tempo, sognando e lavorando per quella età della mia vita in cui mai avrei avuto problemi. Ed utilizzavo ogni risorsa in tal senso: pensavo che studi, esperienze, riflessioni ecc. mi avrebbero prima o poi portato ad uno stato tale in cui non avrei avuto più alcun problema. Ma mi sbagliavo.

Mi accadeva quel che Eugen Herrigel descrive bene in Lo zen e il tiro con l'arco. Chi pratica una qualche disciplina ritiene spesso che arrivati ad un certo livello la padroneggerà senza problemi, salvo accorgersi poi che quel livello che si è raggiunti comporta nuovi e insospettabili problemi.

Un giorno ho iniziato a pensare che non si trattava del fatto che fossi un incompreso ma che avevo davvero dei problemi e che questi si potevano affrontare. E' stato durante i diversi laboratori teatrali che ho frequentato. Per qualche motivo un personaggio o una scena o una situazione non funzionano. Bisogna fermarsi, analizzare e riprovare finché tutto funziona ma accettare anche il fatto che qualcosa di fissato può tornare a non funzionare. Nelle altre arti e nelle imprese umane accade più o meno la stessa cosa. All'inizio abbiamo bisogno di un metodo rigoroso e preciso. Dopo potremo fare di testa nostra.

Umberto Eco in Come si fa una tesi di laurea racconta di studenti che fanno di testa propria e quando ricevono un voto basso o non all'altezza delle loro aspettative sono pronti a sostenere che non sono stati compresi. Questo può accadere ma è più saggio non fare subito di testa propria, controllare e padroneggiare bene tutta la materia prima. In questo consiste una delle maggiori differenze tra Occidente e Oriente. Basti pensare alla totale sottomissione dell'allievo nei confronti del maestro e alla fiducia da quelli riposta in questi.

Non accettare i nostri problemi o i problemi generati dalle nostre azioni e dalle nostre decisioni comporta solo ulteriori e più gravi problemi. Può accaderci di arrivare sull'orlo del precipizio un passettino per volta:
  • quando all'inizio c'era molto spazio tra noi e il precipizio siamo rimasti tranquilli;
  • quando poi ci stavamo avvicinando pensavamo che c'era sempre tempo di tornare indietro;
  • solo quando stiamo per cadere nel burrone ci pentiamo di non aver fatto nulla per non essere là in quel momento.
Accorgersi dei problemi, accettarli e ascoltarli può farci allontanare dall'orlo del Grand Canyon. Sarà difficile, doloroso perché ormai non ci resta che dare un forte colpo di reni all'indietro ma ci salveremo e in seguito impareremo a camminare verso dove vogliamo davvero andare, ma questo è un discorso da affrontare in una prossima occasione.