venerdì 23 settembre 2011

Moby Dick e il problem solving

In questo periodo ho avuto la fortuna di leggere il Moby Dick di Herman Melville e di partecipare come assistente alla regia del Moby Dick di Francesco Niccolini diretto da Enzo Toma. Ho quindi maturato alcune riflessioni in chiave di problem solving che vi propongo. Buona lettura.


Per Achab, il capitano del veliero che dà la caccia a Moby Dick, la balena è un muro da superare. Un ostacolo grave, che lo schiaccia, ma che lui sa di poter affrontare, sebbene corra il pericolo di morire nel farlo. Moby Dick gli ha divorato la gamba in una battuta di caccia precedente. Non lo ha lasciato solo mutilato, ma è come se lo avesse rinchiuso in una prigione dalla quale vuole evadere, visto il suo grande desiderio di libertà. La follia del capitano non è tanto di cercare questo capodoglio in tutti i mari del mondo, ma nel coinvolgere nell'impresa tutto l'equipaggio del Pequod. Sa che c'è una soluzione che coincide con la morte del cetaceo per mano di un rampone che lui stesso forgia. Lo smaciullamento del suo arto lo pone in una nuova condizione di vita. I problemi che deve affrontare sono:

  • come fare a ritrovare Moby Dick?
  • come mettere insieme la nave, le attrezzature, l'equipaggio giusto?
  • come finanziare l'impresa?
E riesce nel suo intento perché risponde alle tre domande. A quel punto l'incontro con il leviatano non solo non è impossibile ma diventa a portata di mano. 

Una mente folle la sua, ma l'impostazione dei problemi è lucida e corretta. Straordinaria anche la sua perseveranza. Dimostra anche grandi doti da leader e abilità retorica nell'arringare i suoi. Da non sottovalutare il suo senso pratico quando promette un doblone d'oro a chi per primo scorgerà il mostro a cui dà la caccia per i mari del mondo. Infine non nasconde a nessuno il suo intento, l'uccisione della balena bianca, anzi lo racconta a tempo debito, come sa fare il buon problem teller, sebbene sappia ammantarlo sotto la generale impresa della caccia alle balene, almeno all'inizio.

La fine della sua caccia e catastrofica per sé e per i suoi uomini. L'intelligenza e la forza di Moby Dick hanno la meglio sulla pur diabolica determinazione del capitano di Nantucket.  Il confronto tra i due, nelle tre giornate di caccia, è impietoso. La lancia di Achab viene sfondata per due volte e in una di queste lui viene scaraventato in mare per molto tempo e la sua gamba di avorio viene distrutta tanto che il carpentiere ne deve realizzare una nuova. Eppure Achab non rinuncia a cercare di ramponare il capodoglio sino all'atto finale. 

Due ostinazioni si confrontano: quella di Moby Dick e quella di Achab. Tra i due il savio Starbuck che implora il capitano di far ritorno a casa. Nella sua fine, però, il capitano si sente solo interprete del fato, del destino. Fino a quel momento conduce da abile problem solver ogni difficoltà, ogni problema. In questo è maestro di lucidità e ostinazione. Attraverso questo personaggio, l'equipaggio e il capodoglio Melville ci racconta tutto il mondo della baleneria in un vero e proprio trattato romanzato. Non trascura niente. Compie un vero e proprio viaggio della conoscenza la cui più importante articolazione non è però davvero la caccia alle balene. E' nella conoscenza di se stessi e della propria morte che Melville viaggia veramente. In questo dà una magistrale lezione all'aspirante problem teller: conoscere se stessi e propri limiti nel saper maneggiare con estrema competenza il proprio campo di lavoro, di attività.

Su questo stesso argomento puoi leggere anche il post Il Transatlantico e Moby Dick.

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